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Obama, se vuoi la fine dell’embargo agisci

Obama, se vuoi la fine dell’embargo agisciLe bandiere cubana e statunitense dopo il disgelo – Reuters

Cuba Toni diversi a Washington e all’Avana a un anno dal «disgelo». Il Granma: basta scaricare le colpe sul Congresso. Il presidente Usa celebra l’anniversario e annuncia una possibile visita nel 2016. Ma la vera normalizzazione sarà «un lungo cammino»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 19 dicembre 2015

Celebrando l’anniversario della distensione con Cuba, il presidente Obama ha di nuovo chiesto al Congresso degli Stati Uniti di «mettere fine all’embargo, eredità di una politica fallita». «Il cambio (nell’isola) non può avvenire da un giorno all’altro e la normalizzazione (dei rapporti con Cuba) sarà un lungo cammino», ma i risultati dei primi 12 mesi forniscono un’indicazione «sui progressi che possiamo ottenere» per «contribuire a migliorare la vita dei cubani». Per questa ragione, conclude la nota emessa ieri dalla Casa Bianca, «il prossimo anno continueremo su questa strada».

All’Avana i toni della celebrazione sono stati più contenuti, se non polemici. Il presidente Raúl Castro non ha fatto alcuna dichiarazione. Ma ha parlato il quotidiano del partito comunista: «Un anno dopo (l’inizio della normalizzazione) il bloqueo (embargo) è ancora in piedi», titolava ieri Granma, nelle pagine dedicate all’anniversario della «storica dichiarazione» con cui, un anno fa, il presidente Obama e Raúl Castro annunciavano la fine del cinquantennale conflitto.

Per questa ragione, il governo cubano ha chiesto al presidente Usa «di ampliare in maniera decisa» le misure volte a alleviare l’embargo, visto che quelle già attuate «benché positive, hanno effetti limitati e hanno impedito di fare maggiori passi avanti» nei negoziati. Dunque, il governo cubano, pur apprezzando la svolta impressa da Obama, ha ricordato al presidente che se «vuole progredire» nelle trattative, non può scaricare tutte le responsabilità sul Congresso a netta maggioranza repubblicana, visto, afferma Granma, che ha «ampli poteri esecutivi» che gli permettono «di trasformare l’applicazione dell’embargo contro Cuba e ridurlo a uno scatolone vuoto».

La differenza di toni è evidente anche in riferimento alla dichiarazione di Obama di essere disposto a viaggiare a Cuba l’anno prossimo, purché possa incontrare anche l’opposizione al governo di Raúl Castro. Anche in questo caso, il leader cubano ha lasciato il compito di rispondere a Josefina Vidal , capo delegazione nelle trattative con gli Usa. «Se vuole venire a Cuba sarà ben accolto», purché non si intrometta «in affari di politica interna», è stata la dura reazione. Del resto nel telegiornale di giovedì sera, i due commentatori intervistati sul tema hanno, con differenti accenti, messo in evidenza che «seppur cambiano i metodi, rimane uguale l’obiettivo» della Casa bianca. Ovvero provocare un cambio di governo e dunque mettere fine al socialismo cubano.

Per alcuni analisti, come l’ex diplomatico cubano Carlos Alzugaray, posizioni come quelle espresse nel Tg sono «di facciata». È vero che il governo teme che i tempi non giochino a favore: visto che la svolta nella politica Usa nei confronti di Cuba è frutto soprattutto della linea del presidente Obama, che resterà in carica solo fino alla fine dell’anno prossimo, «un nuovo presidente con una posizione distinta potrebbe far marcia indietro». Un’ipotesi tuttaltro che peregrina, dato il deciso spostamento a destra che si registra nella campagna per le presidenziali e che coinvolge anche Hillary Clinton, la quale potrebbe ritrattare le sue dichiarazioni favorevoli alla fine dell’embargo.

Dunque, per Alzugaray, l’importante è «avanzare e dimostrare che siamo capaci di negoziare e ottenere accordi riguardo a tutto quello che è nel nostro interesse». Posizione condivisa dall’ex congressita nordamericano Bill Delahunt, da tempo impegnato in una politica di distensione con Cuba, per il quale più si prosegue nella strada delle trattative «più si aprono falle» nella legislazione (Helms-Burton) dell’embargo e si possono trasformare i «commercianti stunitensi (interessati a essere presenti a Cuba) in nostri alleati».

«Bisogna essere realisti, chiedersi in che direzione va il processo di normalizzazione, quanto è avanzato e soprattutto chi finora, tra i cubani, ne ha tratto benefici», afferma l’analista López Oliva. Il cambiamento più significativo in tema di economia dall’anno scorso si è registrato nell’eliminazione del limite delle rimesse dei cubano-americani e nell’aumento dei turisti nordamericani (+ 57%): il che ha rappresentato una crescita delle entrate in divisa principalmente per il governo cubano e , seppur in una parte difficilmente quantificabile fino a oggi, anche un beneficio per il settore cuentapropista (privato) collegato al business del turismo.

Dunque, la nuova linea del presidente Obama ha avuto una conseguenza tangibile per un settore – peraltro ristretto – della società cubana. Invece – a dire di alcuni economisti indipendenti – «non si sono materializzate concretamente o non hanno avuto i risultati programmati e sperati» le riforme economiche promosse del governo di Raúl Castro e volte a «un socialismo prospero e sostenibile». E anche la nuova legge sugli investimenti stranieri – essenziale in un paese con basso tasso di investimenti interni e in evidente ritardo tecnologico – non sta dando i frutti sperati.

Nei giorni scorsi Cuba ha raggiunto un importante accordo con il Club di Parigi per ripianare il proprio debito estero e favorire così l’aumento di investimenti esteri. Ma i risultati non si vedranno in tempi rapidi, con il rischio che «l’unica speranza di una boccata di ossigeno economico possa venire solo dagli Stati Uniti», come afferma un economista «indipendente».

Per il cittadino comune, dunque, dal punto di vista economico «è cambiato poco o nulla». Certo, la distensione con gli Stati Uniti, la bandiera a stelle striscie che sventola nel malecón, come pure i nuovi punti di accesso wi-fi a internet – che contribuiscono a rompere la sensazione di isolamento – hanno un effetto psicologico che però, col tempo, si attenua. «Ho tante speranze, ma anche molti dubbi», è un leitmotiv che si ascolta nelle strade dell’Avana. Specialmente in un periodo nel quale le mercanzie scarseggiano e i prezzi aumentano ben più dell’incremento dei salari.

L’effetto più visibile e preoccupante di questa crisi economica è l’aumento dei cubani – soprattutto giovani – che lasciano il paese per cercare di giungere gli Stati uniti, dove la legge de Ajuste cubano (parte dell’embargo) assicura loro la residenza.

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