Internazionale

Obama rimane a Kabul

Stati uniti Alla Polonia e agli stati baltici destinati quattro battaglioni sotto comando Nato per un totale di 4.000 militari

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 7 luglio 2016
Luca CeladaLOS ANGELES

Nel giorno del rapporto inglese sull’intervento iracheno di Tony Blair, Barack Obama ha reso ufficiale il prolungamento del conflitto afgano. In un discorso alla nazione dalla Roosevelt room della Casa bianca, il presidente uscente ha detto che in Afghanistan rimarranno 8.400 soldati americani invece dei 5.500 previsti dal «draw-down». Il ritiro graduale dal conflitto non verrà dunque completato e la guerra afgana, dopo i sette anni sotto Bush e gli otto di Obama, passerà di fatto al terzo presidente americano consecutivo. All’epoca dell’elezione di Obama sul fronte afgano erano coinvolte circa 30.000 truppe.

Durante il suo primo mandato il numero superò le 100.000 secondo il progetto obamiano di disimpegno dall’Iraq per focalizzare l’attenzione sui talebani ed Al Qaeda.

Dopo il culmine delle operazioni nel 2012, Obama aveva fatto del ritiro americano anche dall’Afghanistan una delle promesse del suo secondo mandato pur di fronte alle critiche di repubblicani e Pentagono che gli contestavano di «telegrafare la sconfitta» ai nemici. Nel 2014 sono cessate le «operazioni di terra» condotte dalla Us Army e le forze americane avrebbero ufficialmente ricoperto unicamente un ruolo di «addestramento e supporto» dell’esercito nazionale afgano secondo la labile formula già sperimentata nei primi anni del Vietnam. Una finzione politica che ha lasciato spazio alle continuate operazioni via drone e «supporto logistico» come il bombardamento dell’ospedale di Medici senza frontiere nel 2015.

Dopo le ripetute dilazioni del ritiro, d’accordo con l’amministrazione del presidente afgano Ashraf Ghani, l’entità della guarnigione destinata a restare nel paese alla fine di quest’anno era stata fissata in 5.500 soldati. L’annuncio di ieri rappresenta quindi una simbolica sconfitta per Obama, la resa che sancisce la sua incapacità di applicare al conflitto afgano la «Obama doctrine» di pragmatismo moderato. «Dobbiamo farci una ragione delle realtà del mondo come è» ha dichiarato ieri. «Non possiamo dimenticarci ciò che è in palio in Afghanistan, il luogo in cui Al Qaeda sta tuttora tentando di ristabilirsi e dove l’Isis, continua ad incrementare la propria presenza»- L’Afghanistan rimane «uno paesi più poveri del mondo. Ci vorrà tempo per costruire la capacità militare che a volte noi diamo per scontata. Per farlo avranno bisogno dell’aiuto del mondo, Stati uniti in testa».

Obama ha sottolineato la differenza fra le meno di diecimila truppe che rimarranno e le oltre 100.000 al culmine del conflitto, rivendicando un «grande progresso» e ha ripetuto che gli Usa non sono più impegnati in un conflitto «convenzionale» ma di fatto il suo annuncio segna il fallimento del tentativo di gestione «moderata» di quella guerra. Obama ha parlato poco prima di imbarcarsi alla volta di Varsavia dove presiederà al summit della Nato in uno dei paesi al centro di una escalation militare dell’alleanza guidata dagli Usa. È del mese scorso l’annuncio che alla Polonia e agli stati baltici verranno destinati quattro battaglioni multinazionali sotto comando Nato per un totale di 4.000 uomini. A Varsavia gli alleati discuteranno del progetto polacco di installare nuove batterie «difensive» di missili patriot contro eventuali aggressioni russe (la Polonia ha già firmato una lettera di intenti per un affare multimiliardario con la Raytheon, produttrice degli armamenti.)

Polonia, Ucraina e Afghanistan rimangono così sanciti come fronti di una guerra permanente che vede dell’alleanza occidentale impegnata su uno scacchiere geopolitico globale: Ucraina e fronte russo-occidentale come strascico di «guerra tiepida» col rivale ex sovietico; il conflitto anti-talebano come la scia lunga del dopo 11 settembre. Se passeranno ad una eventuale gestione Clinton, una politica che ha costruito la propria reputazione come storico falco, ne sarà con ogni probabilità assicurato il proseguimento per altri quattro anni. Hillary ha promesso di «propagare i valori americani» nel mondo, lasciando pochi dubbi a riguardo.

La guerra in Afganistan, già la più lunga della pur bellicosa storia americana è quindi destinata ad allungarsi ancora senza progetto ne reali prospettive di esiti positivi.

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