Internazionale

La guerra si avvicina a Baghdad

La guerra si avvicina a BaghdadMarcia in sostegno della minoranza yazidi – Reuters

Iraq I jihadisti convergono lungo il confine curdo. Gli Usa intervengono per "ragioni umanitarie", ma dietro sta la minaccia agli interessi americani

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 15 agosto 2014

La guerra civile irachena arriva più vicina a Baghdad: ieri scontri tra l’esercito governativo e miliziani sunniti a Fallujah – città ad ovest della capitale, nella devastata provincia di Anbar, occupata lo scorso dicembre – hanno ucciso quattro bambini e una donna. La notizia arriva in contemporanea alla decisione dell’Onu di alzare al massimo il livello di emergenza nel paese.

A nord prosegue l’avanzata dell’Isil: i qaedisti stanno convergendo a Qara Tappa, nella provincia di Ninawa, la seconda a cadere in mano jihadista all’inizio di giugno. Se Qara Tappa venisse presa, si allargherebbe il fronte controllato dall’Isil lungo il confine con il Kurdistan, dove da settimane i peshmerga tentano di arginarne l’avanzata.

Cresce anche la crisi umanitaria. Secondo fonti sul posto, i miliziani dell’Isil avrebbero rapito un centinaio di donne e bambini, la settimana scorsa, nell’attacco alla comunità yazidi di Sinjar. Dopo aver inviato 130 consiglieri militari, tra cui marines e forze speciali, per gestire le operazioni di soccorso degli yazidi intrappolati sul monte Sinjar, ieri gli Stati Uniti hanno fatto marcia indietro: «L’operazione di salvataggio è molto meno probabile – ha detto il portavoce del Pentagono, John Kirby – Ci sono meno rifugiati del previsto e le loro condizioni sono migliori delle attese. Continueremo comunque a fornire aiuti umanitari».

E mentre il governatore della provincia di Anbar, Ahmed Khalaf al-Dualimi, ha detto di aver ricevuto dagli Usa la promessa di dare sostegno aereo contro i jihadisti, dai jet vengono lanciati acqua e cibo e con le bombe si tenta di aprire un corridoio per permettere la fuga degli yazidi: 45mila persone sarebbero riuscite a lasciare il monte Sinjar, 4.500 quelle ancora intrappolate.

Gli Stati Uniti intendono evitare con ogni mezzo un coinvolgimento diretto nel conflitto iracheno: «I 130 consiglieri non parteciperanno a nessun tipo di combattimento in Iraq – ha ripetuto Ben Rhodes, consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca – Ci sono molti modi in cui possiamo collaborare all’evacuazione delle persone su quella montagna». Come lavorare accanto ai peshmerga, fornire loro nuove armi, bombardare dall’alto.

Ma è grave e irresponsabile limitarsi ad un intervento rivolto solo alla crisi umanitaria: quel dramma è figlio di un’azione di più vasto respiro, un’operazione volta alla spaccatura del paese e alla creazione tra Siria ed Iraq di un califfato sunnita. Un’eventualità che appare sempre più concreta e a cui l’amministrazione Obama sta rispondendo flebilmente, nonostante le gravi responsabilità che pesano sulla Casa Bianca, errori di valutazione e volute strategie politiche cominciate con l’occupazione dell’Iraq e l’inasprimento dei suoi settarismi interni e finite con l’appoggio incondizionato alle opposizioni al presidente siriano Assad.

«All’improvviso l’Isil è diventato una minaccia che merita i missili americani – spiega su Counterpunch Shamus Cooke, sindacalista e analista di Workers Action – Per quasi due anni il presidente Obama ha completamente ignorato il più grande e brutale gruppo terroristico del Medio Oriente, permettendogli di diventare un potere regionale. Per oltre due anni l’Isil e altri gruppi qaedisti sono stati la principale forza trainante della guerra siriana, 170mila morti e milioni di rifugiati. E ora, all’improvviso Obama vuole intervenire per ragioni ‘umanitarie’ contro l’Isil. La ragione vera è un’altra: ora l’Isil minaccia gli interessi americani, mentre prima li sosteneva».

Dal ritiro delle truppe Usa dall’Iraq nel dicembre 2011 la Casa Bianca ha finto di non vedere i primi germogli di una futura guerra civile, ignorando l’avanzata di un’organizzazione molto più strutturata e ben finanziata di quanto sia mai stata Al Qaeda. L’offensiva dell’Isil, che venga arginata o meno, modificherà irrimediabilmente il volto dell’Iraq e della regione. A monte, il sostegno Usa ai gruppi di opposizione moderati anti-Assad, molto spesso assorbiti da quelli radicali, e quello diretto dei paesi del Golfo, alleati di vecchia data di Washington e tra i primi responsabili dell’innaturale crescita dei movimenti qaedisti in Siria e Iraq.

«Obama sapeva bene che ad inviare loro montagne di soldi, armi e miliziani era l’Arabia Saudita – continua Cooke – La Casa Bianca ne aveva bisogno contro Assad e, quando l’Isil ha attaccato l’Iraq, si è limitata a chiedere la formazione di un governo di unità nazionale. Obama voleva questo: un cambiamento di regime in entrambi i paesi e ha usato l’Isil come alleato de facto. Fino all’offensiva contro i curdi: lì l’Isil ha superato la linea rossa andando contro il Kurdistan iracheno, alleato degli Usa e zona ricca di risorse naturali. Da qui l’inizio di bombardamenti che Baghdad aveva chiesto per mesi senza mai ottenere nulla».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.



I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento