La rabbia per la morte di Michael Brown, il diciottenne afro-americano ucciso sabato scorso da un poliziotto in un sobborgo di Saint Louis, arriva fino alla Casa Bianca e spinge Barack Obama a prendere posizione prima che la situazione, già incandescente, sfugga definitivamente di mano. E il presidente nero non esita a schierarsi, definendo «senza scuse l’uso eccessivo della forza» fatto dalla polizia di Saint Louis, nel Missouri, sia causando la morte del ragazzo, sia nel reprimere le proteste con cui da giorni la popolazione nera della città chiede giustizia per quell’omicidio. Metodi troppo spicci, di cui la scorsa notte hanno fatto le spese anche due giornalisti arrestati in modo del tutto arbitrario dagli agenti. «Sono estremamente scosso e preoccupato per quello che sta accadendo in Missouri», ha detto il presidente. «L’Fbi e il ministero della Giustizia stanno indagando per capire cosa sia veramente successo a Ferguson. A questo proposito è necessaria un’inchiesta indipendente e trasparente», ha concluso Obama che si è anche appellato ai dimostranti: «Ora però torni la pace e la calma in Missouri» ha chiesto. «Ci deve essere il diritto di protestare ma allo stesso tempo si deve evitare ogni tipo di escalation della situazione. Posso assicurare che le autorità saranno trasparenti per chiarire le circostanze della morte di Michael Brown».

Il punto è proprio questo: la mancanza di trasparenza nelle indagini. L’atteggiamento a dir poco omertoso tenuto fino a oggi dal dipartimento di polizia di Saint Louis – al punto che cinque giorni dopo dopo i fatti ancora non si conosce il nome dell’agente che ha sparato – non ha fatto altro che esasperare ulteriormente gli animi. Michael Brown, 18 anni, si stava recando in compagnia di un amico a casa della nonna quando ha incrociato una pattuglia della polizia che lo ha fermato. Il ragazzo, disarmato, non avrebbe opposto alcuna resistenza ma nonostante questo il poliziotto ha estratto la pistola e ha sparato. Nel momento in cui è stato colpito Brown aveva le mani alzate: «Non sparare» ha gridato all’agente prima di cadere a terra. Diversa la versione della polizia, secondo la quale Brown avrebbe aggredito il poliziotto cercando di portagli via la pistola. «L’agente aveva un lato del viso gonfio ed è stato medicato in ospedale. Era molto scosso», ha detto ai giornalisti Thomas Jackson, capo della polizia di Saint Louis. Una versione smentita però dall’amico di Brown che si trovava con lui e che ha dichiarato che il ragazzo aveva le mani alzate quando è stato colpito dai proiettili che lo hanno ucciso. Fino a oggi la polizia si è rifiutata di fornire le generalità dell’agente, spiegando di non voler mettere in pericolo l’incolumità sua e della famiglia. Ieri però Anonymus ha pubblicato su Twitter il nome e la foto del poliziotto in questione. «Non è lui», è stata la replica del dipartimento di polizia.

La morte di Brown e la reticenza delle autorità cittadine hanno scatenato la rivolta della popolazione di Ferguson, il sobborgo di Saint Louis dove sono avvenuti i fatti. Si tratta di una quartiere operaio con 21 mila abitanti, due terzi dei quali neri. Polizia e funzionari della città sono però tutti bianchi. Mercoledì notte, la quinta consecutiva di protesta, decine di persone sono tornate a radunarsi presso un distributore di benzina diventato ormai il punto di raccolta dei manifestanti. In molti avevano le camicie avvolte intorno al viso e alzavano cartelli con la scritta «Mani in alto, non sparate», ripetendo così le circostanze in cui è morto Brown. A fronteggiarli, agenti in tenuta antisommossa e giubbotti antiproiettile che a bordo di mezzi blindati hanno sparato contro la folla lacrimogeni e pallottole di gomma. I dimostranti hanno risposto a loro volta con il lancio di alcune bottiglie molotov. Il bilancio parla di un ferito e almeno dieci persone arrestate. Tra queste anche un consigliere comunale di Saint Louis, Antonio French, che stava documentando le proteste sui social media. Stessa sorte anche per due giornalisti, Wesley Lowery del Washington Post e Ryan J. Reilly dell’Huffington Post. I due si trovavano all’interno di un McDonald’s e stavano scrivendo i loro articoli quando gli agenti sono entrati ordinando a tutti di uscire e identificando i giornalisti. I due sono stati ammanettati e portati via, per poi essere rilasciati circa un’ora dopo. «Non c’è alcuna giustificazione per quanto è successo» ha dichiarato il direttore del Washington Post, Martin Baron.

«La situazione sta precipitando ed è profondamente preoccupante» ha commentato ieri il governatore del Missouri Jay Nixon. «Rispettiamo la volontà della polizia di garantire l’ordine pubblico, ma dobbiamo anche garantire il diritto della gente del Missouri a riunirsi pacificamente e della stampa a riferire su questioni di interesse pubblico», ha proseguito il governatore prima di rimuovere la polizia della contea dal compito di continuare a controllare le proteste in corso a Ferguson.