O ti racconti, o sei raccontato. Come Sirio ribalta il paradigma della disabilità
Valentina Perniciaro è già da un po’ che fa il giro del web con le clip di suo figlio Sirio e con la Fondazione Tetrabondi, coinvolgendo migliaia e migliaia di persone nella battaglia per ribaltare un paradigma della disabilità che inchioda le persone su ruoli immutabili e subalterni di portatori di handicap, caregiver e sibling, ovvero rispettivamente i familiari assistenti e i fratelli o sorelle di disabili.
Da pochi giorni è in libreria il suo Ognuno ride a modo suo. Storia di un bambino irriverente e sbilenco, edito da Rizzoli (pp. 240, euro 16), un volume di difficile collocazione perché racconta una storia mixando più registri – diario, pamphlet di denuncia, confessione di sé a se stessa e lettera aperta a Sirio e Nilo, i protagonisti di questa vicenda, il primo perché è il «re» dei Tetrabondi, l’altro perché forse è stato il primo a scovare la meraviglia dove altri vedevano solo l’«ergastolo» della disabilità, un destino senza autonomia e senza felicità.
Sirio, nato prematuro, ha cinquanta giorni quando ha un episodio di «morte in culla», un arresto cardiaco improvviso e inspiegabile che sembra spalancargli l’abisso di una vita in stato vegetativo.
SIRIO, CHE ORMAI HA NOVE ANNI, è un bimbo tracheostomizzato, con una paralisi cerebrale infantile, una tetraparesi spastica, paroloni precisi che tuttavia depistano, negano il bambino, tutt’al più lo etichettano come «speciale» mentre sua madre, con ogni media disponibile, continua a ripetere che è un bambino come gli altri, seppure con bisogni speciali.
Per Valentina Perniciaro e Paolo Persichetti, il suo compagno di vita, dal 4 ottobre del 2013 nulla è stato come prima ma niente sarà come era stato vaticinato dalle prime, pesanti, sentenze dei medici. Senza timore di spoilerare si può anticipare che Sirio davvero ride, ride a modo suo, e vive una vita in movimento, sghemba e faticosa quanto si vuole ma sorprendente.
Entrambi i genitori sono militanti politici, blogger e giornalisti. In particolare, l’autrice ha un vissuto di solidarietà internazionalista e di controinformazione dai microfoni di Radio Onda Rossa, prima, e poi sul web. Un portato in cui il personale non può che essere politico, e allora «o ti racconti, o sei raccontato», come insegna da decenni, anche da queste pagine Alessandro Portelli. «Voglio prendere le parole con cui ci descrivono e distruggerle, smontarle, farle esplodere e riscriverle con inchiostro coloratissimo». Vale anche per Sirio, come si scoprirà.
AUTOBIOGRAFIA come cura ma anche come gesto di lotta e, certo, come esperienza fondamentale di comunicazione con l’altro da sé. Anche quando l’altro è turbato dalla disabilità complessa, disorientato, frettoloso.
Perniciaro trova parole per descrivere l’amore e il dolore, il loro intreccio a volte inestricabile, scrollandosi di dosso l’immagine di mamma guerriera, mamma speciale, coraggio e quant’altro. La sua prima urgenza sembra essere quella di non disperdere tutte le parole che avrebbe voluto pronunciare a questo figlio sbilenco e meraviglioso ma il racconto si rivela un monologo con tanti altri destinatari con le sue montagne russe di emozioni, delusioni e nuove speranze, l’incessante desiderio di gioia e la ricerca della pienezza della vita, per tutte e tutti, fino a ribaltare il punto di vista: Sirio non è solo il suo bambino, ma il frutto «della sua tenacia e dell’enorme macchina straordinaria che ogni giorno si muove attorno a lui».
Il libro, dunque, è anche uno spaccato sul mondo della neuro-riabilitazione e dei bisogni speciali, quasi il prologo di un’inchiesta, in un’Italia in bilico tra la preziosa eredità basagliana e le scelte criminali dell’austerità, tra la capacità di praticare percorsi di inclusione e il deficit di umanità e di budget di una burocrazia sanitaria che funziona al rallentatore.
INFINE, È LA RIVENDICAZIONE di un welfare necessario, all’altezza dei bisogni, per liberarsi «del senso di scollamento eterno e irreversibile dal resto del pianeta», per essere «corpi, desideri, felicità nelle strade».
«Raccontarlo ci ha permesso di esorcizzare tante paure – confessa l’autrice nel libro – e di capire il potere della rivoluzione delle parole, il bisogno che il mondo ha di imparare una nuova lingua che sia veramente capace di includere tutti e tutte». Nessuno escluso.
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