Non sappiamo come andrà a finire la vicenda della riapertura del processo a Olindo Romano e Rosa Bazzi per l’omicidio di Raffaella Castagna col figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Ma non ci stupisce che la narrazione mediatica attorno alla strage di Erba, con corredo di divisioni tra colpevoli e innocentisti, è pronta a ripartire. Ciò avviene perché quella tragedia ha toccato nervi che sono ancora scoperti. Come ogni reboot che si rispetti, anche questa edizione della storia, con le parole che vengono scelte per raccontarla e gli accenti che su di esse vengono posti, interagisce col conteso sociale cui si rivolge.

Il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, che ha chiesto la revisione del processo, è magistrato esperto e sensibile agli errori giudiziari. Si vedrà, dunque, se davvero Romano e Bazzi sono finiti in un gioco più grande di loro, persone incapaci di difendersi dentro una macchina alla ricerca di un colpevole da dare in pasto all’opinione pubblica. Ma vale la pena di sottolineare che i due coniugi non erano, all’epoca, esattamente i capri espiatori più comodi.

Si era nel dicembre del 2006, in mezzo alle polemiche che avevano seguito l’approvazione dell’indulto del luglio precedente. Clemente Mastella era ministro della giustizia del governo Prodi e una maggioranza trasversale aveva accettato di rispondere agli appelli alla clemenza del Papa. La destra del centrodestra, quella che oggi costituisce il baricentro del governo, era passata al contrattacco già a poche ore dalla strage, quando tutti avevano puntato il dito contro Azouz Marzouk, marito tunisino di Raffaella Castagna. «Chi ha votato l’indulto ha contribuito a questo eccidio», aveva dettato alle agenzie Maurizio Gasparri, allora deputato di Alleanza nazionale. Il leghista Mario Borghezio aveva dato la colpa alla «facile accoglienza, all’ottusa tolleranza e adesso anche all’indulto». «Per sgozzare un bambino devi essere un animale, quindi non può essere uno di noi», aveva sentenziato l’assessore regionale in quota An Piergianni Prosperini, che qualche tempo dopo avrebbe chiuso la sua carriera politica per una storia di mazzette e che sarebbe sotto inchiesta anche per traffico d’armi con l’Eritrea.

La risonanza del caso di Erba deriva dall’assunto espresso in sei parole da Prosperini: «Non può essere uno di noi». Di fronte a un eccidio efferato, a colpi di coltello e spranga e fiamme appiccate all’appartamento delle vittime, si cercò il mostro venuto da altrove ma ci si ritrovò come colpevoli i vicini di casa. Le rappresentazioni della vicenda giudiziaria e della possibile revisione del processo vertono ancora attorno a questo dibattito: a detta degli avvocati della difesa, una delle testimonianze chiave riguarderebbe una guerra tra bande di stranieri per il controllo delle piazze di spaccio.

Olindo e Rosa rappresentavano la violenza della piccola comunità e dei suoi rancori, come scrisse Pino Corrias in un libro tempestivo ma approfondito sulla vicenda. Le loro vite qualsiasi, e le condanne all’ergastolo, erano l’emblema di quello che i dati raccontano: la maggior parte delle violenze avviene tra le mura domestiche, davanti al feticcio del focolare elemento della triade riproposta dalla destra al governo (Dio! Patria! Famiglia!). Erba da punto di innesco dell’ennesima «emergenza sicurezza» divenne una spia dell’orrore delle guerre di pianerottolo.

Chiunque abbia fatto esperienza di una riunione di condominio avrà osservato come la contesa degli spazi che si frappongono tra una proprietà privata e un’altra, tra le sacre mura domestiche e il bene comune, scateni gli istinti più bassi. È in mezzo ai vicini di casa, tra un punto e l’altro dell’ordine del giorno, che quasi viene voglia di abbandonare qualsiasi speranza nella forza emancipativa della specie umana. Osservando la controversa confessione di Olindo e Rosa, gli italiani in qualche modo riconobbero che la violenza di questa gente semplice e all’apparenza innocua ricordava loro in forma iperbolica le faide spietate e sotterranee che si consumano all’interno dei caseggiati. Nei consessi di condominio, spazi di confronto tra individui proprietari la cui missione è far valere ogni maledetto millesimo, la tensione rischia di esplodere. Non bisogna aver letto i romanzi urbani di Ballard, storie di fantascienza che non scoprono altri mondi ma indagano le forme più estreme delle nostre società, per cogliere l’essenza perturbante della strage. E per capire come la destra vorrebbe trasformare le nostre città in giganteschi condomini: contenitori di proprietà private da blindare invece che spazi comuni da attraversare.