Lettice Graham ha da poco festeggiato 100 anni con un abito d’oro e una corona scintillante all’Alhambra Ballroom di Harlem. Ha imparato a nuotare a 64 anni e da allora non manca, per nessun motivo al mondo, gli allenamenti di nuoto sincronizzato con gli Harlem Honeys & Bears. Hanno fra i 60 e i 100 anni e fanno parte della comunità afroamericana del Bronx. Si ritrovano al St. Mary’s Recreation center almeno tre volte la settimana. L’allenatore è duro (anche lui ottantenne) e li ammonisce («Meno chiacchiere, dobbiamo lavorare duramente!»). I deambulatori restano al bordo piscina e le seggiolette aiutano a scendere in acqua, ma poi… «Nella mia vita precedente ero un pesce», dice Mary, 84 anni. Oppure: «Avevo paura dell’acqua. Quando ero ragazza le piscine, dopo i colored days, dovevano essere svuotate e riempite con acqua nuova». Perché infatti non parliamo tanto di guarigione fisica quanto semmai di risarcimento dai tempi della segregazione anche in piscina – giorni diversi e acqua diversa ma spesso accesso del tutto proibito come a St Louis e a Kansas city dove, senza acqua corrente e senza finestra si viveva tutti in una stessa stanza nel caldo torrido degli stati del sud, là dove ogni movimento – dice Joan Didion – diventa liquido, là dove la piscina pubblica poteva essere anche un modo per lavarsi.

I BAMBINI CONOSCEVANO solo l’acqua degli idranti per strada racconta Jeff Wiltse in Contested waters, interessante excursus sull’evoluzione di quel luogo, piscina pubblica poi privata, nel quale commistione e convivenza, in uno spazio d’acqua, sono intime e prolungate, in cui i corpi si toccano e vengono guardati, in cui gli umori si scambiano (quando uomini e donne poterono andare negli stessi giorni si paventavano spermatozoi vaganti nel liquido). La rivincita sull’acqua degli Honeys & Bears è quella che Laure Andrillon racconta in Fountain of Youth (Fontana di giovinezza) ed è uno dei sei progetti fotografici da vedere nelle sale di Cascina Roma a San Donato Milanese (Nuovi sguardi: la giovane fotografia internazionale a cura di Laura Covelli, fino al 4 giugno).

Jana Mai

NATA COME COSTOLA del Festival etico di fotografia di Lodi, la rassegna include altri importanti progetti come The last Stronghold (L’ultima roccaforte) del giovane danese Mikkel Hørlyck. Siamo sul confine fra Bosnia nord-occidentale e Croazia, in uno dei punti cruciali della rotta balcanica, non lontane Bihac e il campo di Lipa. Loro – adolescenti, bambini, donne, famiglie, giovani uomini, lo chiamano The game. Come un gioco – mortale – provi a varcare i confini, vieni respinto e torni al punto di partenza. Anche in Shadow game, film olandese del 2021, provi tante volte e nel frattempo perdi nel bosco il fratello più piccolo, una neonata si ammala, la polizia sequestra il tuo vitale powerbank o ti prende a calci sequestrandoti le scarpe. Può essere un train-game, un container-game, un pediri-game (che in pashtun vuol dire a piedi). Un gioco nel quale quando senti tuo padre al cellulare trattieni le lacrime e dai buone notizie, dici che stai bene ma hai le unghie dei piedi nere per il gelo e stai attraversando un terreno minato. Atefeh Mohseni (10 anni) ha in braccio la sorella piccola Nazanin Zainab che ha mal di denti: hanno tentato the game, col padre, almeno 20 volte, dormono sentendo i cani randagi che abbaiano di notte.
Nel Delta del Po – Like The Tide (Come la marea) – Chiara Negrello ha osservato e ritratto le pescatrici di vongole: donne, adulte e ragazze talvolta appena diplomate che con disciplina e dedizione si alzano alle quattro e mezzo di mattina, indossano lunghi stivaloni in gomma e vanno a pescare per poi tornare, la sera, ad occuparsi della casa e della famiglia. Coglie il loro sguardo sull’acqua ferma dell’alba, le espressioni felici in un ritrovo serale, fatto di sigarette, vino e risate.

Ian Cheibub

IMMENHAUSEN, Germania. Mirza e Fayz sono due giovanissimi rifugiati siriani e danno la mano a uno spilungone biondo sedicenne. Stanno per affrontare la missione del giorno, una missione da scout, tutti e tre in divisa col fazzolettone al collo. In The feeling we only know (Il sentimento che solo noi possiamo capire) Stephan Lucka – a sua volta ex scout – racconta questo mondo (cattolico ma anche laico con 46 milioni di membri). Jolina (nome scout Luri) avrà 9 anni e in tenda ride perché ha almeno due piedi di amici sulla faccia. Nella tenda gli zaini esplodono, difficile che ci sia qualcosa di mio o di tuo, tutto è di tutti, il cellulare non c’è, ci si lava poco e ci si sveglia all’alba nella natura. E non c’è giudizio. La sera c’è sempre un grande fuoco e le facce da adolescenti incantate dalle fiamme sembrano quelle delle giovani al lume di candela di Georges de la Tour. Jette (nome scout Tonks, 13 anni): a scuola le ragazze sono pompate, truccate e immacolate. Qui mi bagno sotto la pioggia, ho fango sui pantaloni e nessuno mi dice niente.