Nuovi elementi su Adriatici. «Ma la verità è nella memoria di una videocamera»
Voghera violenta A due mesi dall’omicidio di El Boussettaoui si complica la posizione dell’assessore-sceriffo leghista
Voghera violenta A due mesi dall’omicidio di El Boussettaoui si complica la posizione dell’assessore-sceriffo leghista
Sono passati ormai due mesi da quando Massimo Adriatici, assessore alla sicurezza di Voghera, ha ucciso a pistolettate Youns El Boussettaoui. Fin da subito, al politico leghista (che da allora si trova agli arresti domiciliari), venne contestato il reato di eccesso colposo di legittima difesa. Un capo d’imputazione che fin dalle prime mosse degli inquirenti era entrato in contraddizione con le scelte della procura, che aveva deciso la custodia cautelare per Adriatici intravedendo il rischio che l’assessore potesse ripetere il reato.
Ma, appunto, in questi due mesi le indagini sono andate avanti, e sono proseguite anche le attività di inchiesta, perizia e ricerca dei testimoni da parte degli avvocati. Il che ha consentito di mettere insieme alcuni elementi che gettano una luce oscura sulla posizione di Adriatici. Il primo riguarda il fatto che, esaminando alcuni video di quella sera, sembra di poter considerare che lo sparatore si fosse messo sulle tracce di El Boussettaoui, che l’incontro tra i due non sia stato fortuito come ha raccontato Adriatici. C’è poi la questione della pallottole rinvenute nella pistola dell’assessore (ora decaduto): lunedì scorso i Ris di Parma hanno fatto sapere che Adriatici ha usato pallottole a esplosione, particolarmente distruttive, considerati arma da guerra. La legge ne consente l’uso solo in particolari poligoni e in specifiche discipline di caccia.
Infine, terzo elemento più di contesto che strettamente giudiziario: nei giorni scorsi sono comparsi alcuni screenshot che sarebbero riconducibili alla chat della giunta di Voghera, della quale fino alla sera del 21 luglio Adriatici faceva parte. Ci sarebbe Simona Virgilio, assessore all’istruzione, che segnala ai colleghi di giunta: «Davanti all’Africa market mega assembramento con tantissimi individui con bottiglie in mano». Tra i commenti comparirebbe questo: «Finché non si comincerà a sparare, sarà sempre peggio». Stando al documento, la cui veridicità è ovviamente da accertare, a scrivere questo ultimo messaggio sarebbe stato un altro leghista. Si chiama Giancarlo Gabba e all’epoca aveva la delega all’urbanistica. Dopo il ritiro forzato di Adriatici, sarebbe passato alla sicurezza. Il (presunto) leak delle discussioni digitali dell’amministrazione di centrodestra arriva dopo un rimpasto di giunta che potrebbe aver causato malumori e magari la scelta di divulgare le chat interne. Enrico Borghi, responsabile politiche per la sicurezza nella segreteria del Partito democratico, reagisce duramente: «Siamo dell’opinione che per la sicurezza dei cittadini la città di Voghera debba essere commissariata e la sua giunta, oramai fuori controllo, rimossa. Questa è violenza eversiva. La semina dell’odio fa germogliare i suoi fiori del male. Vanno estirpati. E a Voghera si volti pagina».
Ma come succede in molti gialli, la soluzione di questo caso potrebbe essere alla portata di tutti fin dal primo giorno. Davanti al naso di quelli che nella notte tra il 21 e il 22 luglio scorso andarono in piazza Meardi. Sul luogo del delitto. Lì si trova una telecamera di sorveglianza, installata proprio dal comune in cima ad un palo della luce. Sarebbe di quelle che funzionano «a occhio di pesce», il cui campo di inquadratura è largo cioè 360 gradi. Fin dal primo giorno Debora Piazza e Marco Romagnoli, i due avvocati che difendono gli interessi della famiglia di El Boussettaoui, chiedono che il materiale prodotto da quella telecamera possa essere acquisito agli atti. O in alternativa chiedono di poter verificare lo stato dello strumento. Dalla procura però si è detto in un primo momento che l’obiettivo non ha funzionato. Forse perché sporco di pece o fuliggine. Forse perché ostruito da resina di alberi. Di fronte alla fotografia prodotta dai legali che evidenzia come la telecamera appaia pulita, dapprima è stato loro risposto che era stata ripristinata in un secondo momento, subito dopo l’omicidio. Poi che l’apparecchio non ha funzionato perché pieno di acqua. Allora gli avvocati sono andati a vedere lo storico del meteo di quei giorni di luglio e hanno scoperto che quella sera non pioveva da giorni. Non è l’unico mistero. Altri, che potrebbero coinvolgere anche altre persone, potrebbero venir fuori nei prossimi giorni. A partire da quando, alla fine del mese scadranno i sessanta giorni concessi dal giudice per la chiusura delle indagini e si procederà con l’iter. Sperando che la procura di Pavia non si trasformi in un porto delle nebbie.
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