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Nuove misure e coprifuoco. Notte di rabbia a Belgrado

Nuove misure e coprifuoco. Notte di rabbia a Belgrado

Serbia Il presidente Vucic attribuisce alla popolazione l’aumento dei casi e incendia la protesta

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 9 luglio 2020

Belgrado brucia. Brucia di rabbia e frustrazione. Ad appiccare il fuoco della piazza è il discorso con cui il presidente serbo Aleksandar Vucic ha annunciato nuove misure restrittive per contenere l’ondata record di contagi registrata negli ultimi giorni, inclusa la possibilità di reintrodurre il coprifuoco a Belgrado. La situazione, ha avvertito Vucic, è allarmante soprattutto nella capitale dove venerdì scorso è stata dichiarata la situazione di emergenza.

NELLA SOLA GIORNATA DI IERI si sono registrati 11 decessi, uno dei numeri più alti dall’inizio della pandemia, e 357 nuovi casi. Un’impennata che Vucic ha attribuito alla popolazione, responsabile secondo il presidente, di aver abbassato troppo la guardia. Il discorso è incendiario. Pochi minuti dopo a migliaia si sono riversati per strada e si sono diretti spontaneamente verso la sede del Parlamento serbo. «Arrestate Vucic», «traditore», scandiva la folla inferocita che si è lanciata all’assalto del Parlamento, sfondando il cordone di protezione delle forze dell’ordine. Il corpo a corpo è durato pochi minuti, un lasso di tempo breve e insieme interminabile che si è concluso a favore della polizia: i manifestanti sono stati respinti nel parco e nelle strade adiacenti.

SULLA FOLLA sono stati lanciati i primi gas lacrimogeni, ma le proteste non si sono placate. La manifestazione ha preso la forma della guerriglia: il cielo di Belgrado era illuminato dei fumogeni lanciati dai manifestanti e delle fiamme dei cassonetti e delle macchine incendiate. La risposta della polizia non si è fatta attendere: manganellate, arresti, pestaggi. Tra i manifestanti anche un nutrito gruppo di militanti di estrema destra. Gli scontri sono andati avanti fino a notte fonda. Il bilancio è di almeno 60 feriti e 24 arresti.

«IL TROPPO È TROPPO, attacca Milos (nome di fantasia), infermiere all’ospedale di Novi Sad. Milos si trovava a Belgrado per caso, dopo più di due mesi di lavoro nel reparto Covid aveva deciso di prendersi una pausa per andare a trovare i suoi familiari. La battaglia contro il virus Milos l’ha combattuta come i suoi colleghi a mani nude, senza guanti, senza tute protettive. Una situazione denunciata allo scoppio della pandemia dalla giornalista di Nova Ana Lalic, successivamente arrestata con l’accusa di aver diffuso il panico. «Se il governo reintroduce il coprifuoco, dice Milos, non ritorno più in servizio».

I manifestanti contestano la cattiva gestione dell’emergenza sanitaria e i tentativi del governo di mettere a tacere le critiche al suo operato. La Serbia è uno dei Paesi che ha imposto le misure più restrittive per contenere il contagio: oltre alla proclamazione dello stato di emergenza che ha consentito tra l’altro il rinvio delle elezioni inizialmente previste il 26 aprile, anche l’imposizione di un coprifuoco durante i weekend e il dispiegamento dell’esercito.

IL 6 MAGGIO però le autorità hanno revocato lo stato di emergenza e allentato le misure. La situazione epidemiologica era sotto controllo, il virus debellato, tanto che viene autorizzata la partita Partizan – Stella Rossa a porte aperte davanti a 25mila tifosi. Il 21 giugno poi si sono svolte le elezioni che hanno visto il partito di Vucic trionfare con una maggioranza schiacciante. Elezioni farsa, segnate dal boicottaggio delle opposizioni, dal crollo dell’affluenza e dai numerosi casi di brogli elettorali registrati nel Paese.
ALL’INDOMANI DEL VOTO le autorità sanitarie hanno lanciato l’allarme: i contagi hanno ripreso a correre soprattutto nella capitale. Negli stessi giorni il portale di informazione Birn ha pubblicato un’inchiesta in cui si accusa il governo di aver mentito sui dati relativi al contagio: nella settimana precedente le elezioni ci sarebbero stati in media almeno 300 nuovi positivi, invece dei circa 90 annunciati. Così anche il numero dei decessi sarebbe stato alterato: nella settimana tra il 19 marzo e l’1 giugno sarebbero state 632 le persone morte per coronavirus, e non 244 come riportato dalle autorità.
E così all’ennesima presa in giro del Presidente, è esplosa la rabbia. Ieri la città è piombata in un clima di apparente e surreale normalità. Vucic è tornato a parlare alla nazione e lo ha fatto per condannare quella che ha chiamato la «violenza più brutale degli ultimi anni» in Serbia. Responsabili dei disordini «estremisti di organizzazioni fasciste»: la piazza secondo Vucic non ha nulla a che fare il coronavirus.
Quelle persone, ha affermato, non erano lì per la prima volta, hanno solo aumentato il livello di scontro. Uno dei motivi per cui è esplosa la violenza, ha proseguito ancora Vucic, è indebolire la posizione della Serbia nelle negoziazioni con il Kosovo mediate dall’Ue. Il presidente ha poi annunciato che la decisione sull’eventuale coprifuoco, rispetto a cui si è detto contrario, verrà presa domani. È la nuova versione dei fatti di Vucic. Ma a Belgrado nessuno sembra più credergli.

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