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Nuova strage a Beirut

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Libano Nuova autobomba nei quartieri sciiti raccoforte di Hezbollah a distanza di una settimana da quella che, nel centro della capitale, aveva ucciso l'ex ministro Mohammed Shatah. Anche ieri morti e feriti. Dietro le quinte la lotta tra Arabia saudita e Iran nel Paese dei Cedri

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 3 gennaio 2014
Michele GiorgioGERUSALEMME

Erano circa le 16 ieri quando un’auto di grossa cilindrata, parcheggiata in seconda fila, con a bordo (pare) un kamikaze, è esplosa nell’affollata via Arid a Haret Harek, nella periferia meridionale di Beirut roccaforte di Hezbollah. E’ stato l’inferno. Edifici sventrati, negozi e automobili in fiamme. Almeno cinque i morti e decine di feriti. Scene già viste nei mesi scorsi in questa zona, la più povera della capitale. Simili a quelle di appena una settimana fa quando, un’altra autobomba, aveva ucciso nel centro commerciale di Beirut l’ex ministro delle finanze ed esponente di punta del fronte antisiriano Mohammed Shatah. Sette giorni fa nemici e avversari di Hezbolllah avevano chiamato in causa proprio il movimento sciita guidato da Hassan Nasrallah che aveva preferito non reagire alle accuse.

Nell’attentato di ieri, realizzato con ogni probabilità da miliziani qaedisti legati ai ribelli siriani anti-Bashar Assad, non pochi libanesi hanno letto la precisa volontà di «colpire e punire» Hezbollah. L’esplosione è avvenuta nei pressi di alcune abitazioni di leader di Hezbollah, tra cui quella del numero due, Naim Qassem. In Libano è in corso una dura campagna contro il “Partito di Dio” per il suo appoggio militare all’esercito governativo siriano e in vista del processo, il prossimo 16 gennaio, davanti al Tribunale Speciale per il Libano, che vede come imputati (assenti) quattro militanti del movimento sciita che la procura internazionale ritiene responsabili dell’attentato del febbraio 2005 in cu rimase ucciso l’ex premier libanese Rafik Hariri, padre del leader sunnita Saad Hariri. Non manca peraltro chi crede che l’attentato di ieri sia in qualche modo collegato all’arresto (compiuto tre giorni fa dai servizi libanesi) del leader delle “Brigate Abdul Azzam”, il gruppo qaedista, finanziato (si dice) da sponsor sauditi, che ha rivendicato l’attentato dello scorso 19 novembre contro l’ambasciata iraniana a Beirut. Secondo indiscrezioni a permettere la cattura del comandante delle “Brigate Abdul Azzam” sarebbero state le indagini svolte dall’intelligence di Hezbollah, impegnata a dare la caccia ai miliziani qaedisti libanesi e siriani che agiscono nel Paese dei Cedri.

Con il trascorrere dei mesi il Libano si è ulteriormente avvicinato al baratro di una guerra civile, figlia diretta di quella in corso in Siria. Ad averla impedita sino ad oggi, lo pensano diversi libanesi, sarebbe stata proprio la superiorità, per addestramento e armamento, dei combattenti di Hezbollah rispetto ai loro potenziali avversari, che sanno di non pyter vincere. Nasrallah ha più volte ripetuto, anche di recente, che il suo movimento respingerà qualsiasi tentativo di «disarmare la resistenza». Le armi di Herzollah, ha spiegato, servono per proteggere il Libano da possibili operazioni militari israeliane e, ora, anche per impedire che jihadisti e qaedisti siriani possano entrare nel Paese. I suoi oppositori obiettano che sarebbe stata proprio la decisione di Hezbollah di combattere in Siria al fianco delle forze governative ad aver spinto gli estremisti a colpire in Libano.

Dietro le quinte, decisa ad alterare in modo significativo i rapporti di forza tra Hezbollah e le altre fazioni libanesi, c’è l’Arabia saudita con la la sua enorme potenza economica. Riyadh, qualche giorno fa, ha “donato” tre miliardi di dollari all’esercito libanese. Un impegno annunciato dopo la visita in Arabia saudita del presidente francese Francois Hollande, dichiaratosi sua volta disposto a fornire armi alle forze di sicurezza libanesi «se necessario». I media occidentali riferiscono spesso dell’ingerenza (reale) dell’Iran in Libano attraverso Hezbollah e invece minimizzano su quella saudita che pure molto spesso è a favore di gruppi armati sunniti che compiono attentati e violenze in Libano. Riyadh inoltre preme per arrivare alla formazione di un nuovo governo libanese che isoli Hezbollah e costringa Nasrallah a ritirare i suoi combattenti in Siria. Le pressioni della monarchia sunnita, che per ora non scalfiscono la solidità del fronte guidato da Hezbollah, hanno contribuito a gettare il Paese nella paralisi istituzionale.

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