«Nulla di troppo», la regola ferrea che Artemide impone ai cacciatori
Saggi «I Greci in noi» di Angelo Tonelli, edito da Meltemi. Un confronto fra il mondo attuale e quello antico e la (tutta moderna) hybris che coinvolge la Terra
Saggi «I Greci in noi» di Angelo Tonelli, edito da Meltemi. Un confronto fra il mondo attuale e quello antico e la (tutta moderna) hybris che coinvolge la Terra
La Grecia non fu solo la culla della razionalità, dell’arte, della democrazia e di una lingua geniale e luminosa le cui tracce affiorano nei monumenti, in molte parole italiane e in quasi tutte le rimpatriate liceali. Fu anche patria di un «pensiero selvaggio» che elaborò miti e riti, estasi, orge e un misterioso sciamanesimo, termine che a volte sembra occultare più che spiegare le ambigue forme magico-religiose e terapeutiche (ri)scoperte dagli etnografi dei due secoli scorsi nelle società non europee.
Il volume di Angelo Tonelli I Greci in noi (Meltemi, pp. 214, euro 18) ci mostra un mondo un po’ diverso da quello cui eravamo abituati a pensare, una società in cui il sapiente era anche politico e il misticismo non rimaneva confinato nell’inazione del corpo e della mente ma si prolungava nell’azione civile.
In un fraseggio lucido e appassionato Tonelli analizza capitolo dopo capitolo – sette, con l’aggiunta di un Manifesto contro il transumanesimo – il mondo attuale e lo confronta con quello, auspicando la nascita di un homo novus, una sorta di irriducibile partigiano luminoso in rivolta contro quell’osceno e folle intreccio di tecnologia digitale, avidità economica e volontà di potere di un’élite che svende la Terra e i suoi figli.
UTILIZZANDO con competenza la letteratura, Tonelli indaga quella grandiosa stagione culturale che oggi sembra essere dimenticata. Così, rileggendo I Persiani di Eschilo, vediamo come nel mondo Egeo ogni forma di hybris, di innalzamento al rango di dio, sia punita, che provenga dal re persiano Serse quando tenta di eliminare il tratto di mare dello stretto dei Dardanelli con un ponte di imbarcazioni facendolo attraversare, tra sacrifici e preghiere, da un immenso esercito, oppure da quel senso di onnipotenza che prende Icaro dimentico del consiglio del padre di volare lontano dal sole. Tutti conosciamo il motto inciso nel santuario di Delfi «conosci te stesso», meno forse l’altro, medèn àgan, «nulla di troppo». È la regola ferrea che Artemide impone ai cacciatori e a chiunque voglia prelevare dalla natura più di quanto necessiti.
IL MONDO GRECO, spiega l’autore, è pervaso da paure proprio come il nostro, ma ne propugnava un distacco empatico attraverso la ricongiunzione a quel nous di cui parlava Plutarco, oppure con l’accompagnamento catartico di tecniche mitico-rituali la cui azione si svolgeva nelle case, nei teatri, nei templi e anche nel sogno. Strumenti oggi abbandonati, in favore di una giurisprudenza che si ritiene onnisciente e di un’economia cieca che vorrebbe indicare luminose strade e magnifiche sorti. Come, secondo Tonelli, abbiamo visto nelle recenti epidemie di covid, in una «regressione antropologica di vastissima portata, dall’homo sapiens all’homo timens».
Paure alla cui base è sempre adombrata quella maggiore – della morte – temibile presenza resa appena sopportabile da una esistenza consapevole ed etica, garanzia di propizie illuminazioni in vita e reincarnazioni post mortem.
L’ANALISI di Tonelli diviene sempre più stringente, assumendo posizioni nette: se non fermiamo questo patto scellerato tra politica e scienza, subiremo gravi conseguenze. Come durante l’ultima pandemia, dove il bene comune è stato rappresentato «dalla salvaguardia della zoè, ovvero della ’nuda vita’, a gran discapito del bìos, che è la vita in quanto ricchezza di senso, libertà, creatività, pienezza».
Non c’è un’unica ricetta, ovviamente, ma l’autore invita a riconoscere la profonda unità del mondo attraverso il nòus, l’intuizione profonda, l’unica forma di consapevolezza verso una realtà che «mutando riposa». La fissa identità delle cose che ci circondano è pura apparenza ingannevole, anche se rassicurante.
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