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Nucleare, la Slovenia raddoppia Krško

Europa In base agli accordi con l’Ue, la vecchia centrale avrebbe dovuto chiudere nel 2023. Il governo sloveno l’ha invece prorogata fino al 2043

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 1 luglio 2021

Il suo «fine vita» era stato fissato al 2023: per la vecchia centrale slovena di Krško, attiva già da 40 anni, sembrava giunto il momento di spegnersi. Costruita in joint venture tra Slovenia e Croazia negli anni ’70 quando ancora erano Jugoslavia, ha un vecchio reattore ad acqua pressurizzata della Westinghouse con quasi 49 tonnellate di ossido di uranio.

NEGLI ANNI, non sono mancati gli incidenti con chiusure temporanee dell’impianto ed i problemi legati al silenzio sloveno sulle caratteristiche dei guasti e l’entità eventuale dei danni. E sono in molti a ricordare come uno dei requisiti posti alla Slovenia per accettare la sua richiesta di entrare in Europa riguardava proprio il nucleare: rispetto della normativa internazionale, soluzione dello smaltimento dei rifiuti nucleari e assicurazione di uno status indipendente all’Autorità di sicurezza nucleare. Pare che almeno per lo stoccaggio temporaneo del combustibile nucleare esaurito si stia predisponendo un progetto che ha però già visto levarsi forti proteste: una parte vicino alla centrale a ridosso della Sava e una parte in Croazia a un paio di chilometri dal confine bosniaco, cento anni la durata prevista in sicurezza e formale protesta del governo con forte mobilitazione degli ambientalisti bosniaci che si sono uniti a sloveni, croati, austriaci e italiani.

PERCHÈ KRŠKO FA PAURA, perché Krško è costruita sopra alcune faglie attive, con rischio sismico medio-alto, il fall-out prevedibile in caso di incidente raggiungerebbe sicuramente Italia e Austria. I terremoti posso provocare incidenti complessi, difficilmente prevedibili, e i venti dominanti in zona soffiano verso Venezia e Bologna. Un paio di anni ancora e doveva essere chiusa, demolita, si è detto. Poi, in questo 2021, tutto è cambiato: la Slovenia ha comunicato l’allungamento della concessione fino al 2043 e, addirittura, il raddoppio dell’impianto con la costruzione di un secondo reattore da 1000 mw per una spesa di almeno 5 miliardi.

L’AUSTRIA È INSORTA subito e, approfittando della possibilità, in quanto paese confinante, di intervenire direttamente negli studi di impatto ambientale che la Slovenia è tenuta a fare, ha già richiesto al governo sloveno di fornirle tutti i dati tecnici e le relazioni già predisposte. Il Ministero per la Protezione del Clima austriaco ha inviato una dura nota alla Slovenia e la ministra Leonore Gewessler ha sottolineato come l’energia nucleare divori «somme di denaro assurde che sarebbero molto più opportunamente spese per l’espansione delle energie rinnovabili».

ZITTA LA COMMISSIONE EUROPEA, nonostante più di una interrogazione sia stata presentata al Parlamento, se non la laconica comunicazione di non avere ricevuto alcuna documentazione relativa a Krško nè di aspettarsela essendo una iniziativa di competenza del singolo stato membro. Di suo, la Commissione europea, a seguito di una interrogazione parlamentare nel 2016, aveva rimarcato come «Gli stress test effettuati nel periodo 2011-2012 dall’Ensreg per valutare la resistenza delle centrali nucleari a eventi esterni estremi hanno dimostrato che i margini di sicurezza sismica della centrale di Krško erano sufficienti». Il contrario esatto di quanto affermato dall’Irsn, l’Istituto nucleare francese nel 2013, chiamato alla stessa valutazione.

CHE LA CENTRALE NUCLEARE slovena non sarebbe stata chiusa ma, anzi, raddoppiata, era comunque una voce che girava già da tempo, se pure smentita, riproposta, smentita di nuovo. Nel settembre del 2019 una interrogazione presentata al Consiglio regionale del FVG aveva trovato una stupefacente risposta da parte dell’assessore competente: « La Regione potrebbe esplorare la possibilità di un partenariato magari come futuro asset della società energetica regionale». In fondo, a guardar bene, è la pura continuazione di una politica nuclearista cara alla destra regionale che già con il precedente presidente di Regione, il forzista Renzo Tondo, vedeva bene il Friuli Venezia Giulia e l’Eni come gestori della centrale. Il Pd sembra avere chiara in testa una netta opposizione, dal Consiglio regionale al Parlamento, ma dopo qualche comunicato tutto si smorza e sparisce.

SITUAZIONE CONFUSA E PARERI discordi. La valutazione su Krško dell’IAea, organismo internazionale preposto al monitoraggio delle centrali nucleari, è positiva ma questo non rassicura chi chiede controlli meno formali. Così, soprattutto, i tre scienziati ascoltati in Senato nel 2016 e poi anche al Parlamento europeo sulla pericolosità sismica della centrale nucleare slovena: il prof. Decker dell’Università di Vienna, il geologo Sirovich dell’Ogs e il prof. Suhadolc dell’Università di Trieste. Non hanno mai smesso di chiedere la dismissione di Krško e oggi più di prima. Dice Livio Sirovich: «Sono un geologo-sismologo, di questo mi occupo e questo studio. Non entro nel merito di altro, non posso neanche dirmi contrario al nucleare, ma se vedo la mappa europea del rischio sismico e trovo una centrale nucleare, l’unica, proprio in mezzo a una zona rossa, non devo preoccuparmi? Non me ne devo occupare?».

IL TERMINE PER PRESENTARE istanza di partecipazione alle valutazioni di impatto ambientale è scaduto il 25 giugno, l’Austria ha già provveduto, il Friuli Venezia Giulia non ne sa niente e silenzio anche dalle stanze del Il governo italiano e del nuovo Ministro della Transizione ecologica.

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