Presenza familiare al festival, aficionado anche degli appuntamenti che Novara Jazz propone in altri momenti dell’anno, fra il pubblico c’è anche Maurizio Cattelan: curiosissimo, si informa sui protagonisti dei concerti, commenta, chiacchiera con gli appassionati che seguono il nutrito programma della ventunesima edizione della rassegna: articolata in due fine settimana, il primo – da venerdì 31 maggio a domenica 2 giugno – diffuso sul territorio intorno a Novara, il secondo – da giovedì 6 a domenica 9 – sviluppato in diverse sedi nel centro città, con, nell’ultimo sabato e domenica, concerti dalle 10 di mattina alla sera. La convivialità è una dimensione a cui Novara Jazz tiene molto, è un festival affabile in cui – fra un concerto, una degustazione di risotto e nebbiolo, una illustrazione della storia del palazzo o della chiesa che fanno da location – non c’è nessuna difficoltà ad entrare in relazione con i musicisti e gli organizzatori, e fra loro e i frequentatori dei concerti si creano e consolidano reti amicali.

NON È SOLO questo a farne un festival molto particolare: senza integralismi e con atteggiamento spigliato, nel panorama dei festival italiani Novara Jazz è ormai un caso più unico che raro di manifestazione che mantiene un’apertura non occasionale alle forme più avanzate del jazz, con un debole per l’area della musica improvvisata, o improvvisazione radicale, o free music che dir si voglia. Dell’improvvisazione radicale europea Joëlle Léandre, francese, formatasi come strumentista classica, è una figura emblematica, e dagli anni settanta pioniera della presenza femminile nella free music: da tempo Novara Jazz la voleva come protagonista di una delle tradizioni del festival, il solo di contrabbasso fra le tele della Galleria Giannoni, la preziosa pinacoteca nel complesso medioevale del Broletto, fulcro della città storica.

LO SCORSO ANNO gli accordi erano già presi, ma poi il festival aveva dovuto lasciare la precedenza al Vision Festival di New York, che negli stessi giorni di Novara Jazz aveva attribuito a Léandre il suo Lifetime Achievement Award. Un solo di Léandre è un insieme magistrale di virtuosismo tecnico e bellezza del suono, con l’archetto o il pizzicato, di straordinaria indole improvvisativa, e di una cifra inconfondibile di cui fanno parte versi, sospiri, vocalizzi, a cavallo tra effetto musicale e consumata vena teatrale.

SE IL LUNGO sabato è iniziato magnificamente alle 10 con Léandre, alla stessa ora la lunga domenica è iniziata in maniera quanto mai godibile con un’altra – più recente – tradizione del festival, il concerto d’organo nella raccolta chiesa di San Giovanni Decollato, quest’anno con Guus Janssen, pianista che è un pezzo di storia della free music olandese. Fra impatto organistico rock, swing con giri di basso stile boogie woogie, registri nasali e un po’ grotteschi, contrasti tra motivi solenni e dissonanze, sovrapposizioni di suoni striduli, spiazzamenti giocosi, non c’è ombra di cliché e grandeur organistici, piuttosto humour e ironia (tratti che hanno avuto molta parte nella scena free olandese), ma senza scadere nel cabaret, con gran classe, e con una certa inclinazione surrealista. Incontrando negli ultimi anni il pianismo di Myra Melford nell’economia di formazioni come Fire & Water e Tiger Trio, era inevitabile desiderare di avere l’occasione – non frequente – di ascoltarlo come completo protagonista: ed eccoci accontentati da Novara Jazz, con un solo della musicista americana nel cortile di Palazzo Bellini.
Melford non è certo rimasta insensibile alla radicalità di un Cecil Taylor, ma il suo pianismo, energico, incisivo, spesso fortemente ritmico, ha forse il limite di un troppo frequente richiamo alla cantabilità e alla melodia. Cartellone troppo fitto per poter anche solo citare tutto quello che lo meriterebbe: privilegiamo allora dei giovani, l’argentina Camila Nebbia, sax tenore, Giacomo Zanus, chitarra, il Ferdinando Romano, contrabbasso, e Francesca Remigi, batteria, cioè il Dialect Quintet guidato dal pianista inglese Alexander Hawkins, e il gruppo del contrabbassista veneziano Marco Centasso, con la vocalist e suonatrice di oud vicentina Sarra Douik.