Visioni

«Notte fantasma», solitudini svelate per le strade di Roma

«Notte fantasma», solitudini svelate per le strade di RomaUna scena da «Notte fantasma»

Al cinema Il film di Fulvio Risuleo con Edoardo Pesce, il tempo di un incontro nel ventre della città spettrale

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 novembre 2022

Film ontologico, Notte fantasma di Fulvio Risuleo, se non fosse che si è portati a considerare il cinema, tutto il cinema, già di per sé come ontologia, dimensione veritativa, o come direbbe Pasolini, «lingua scritta della realtà». Insomma è l’origine cinematografica del mondo: la realtà che sorge dal cinema e non il contrario. Allora ontologia al quadrato il film di Risuleo, quando le parvenze che compaiono sullo schermo, che sono per loro stessa natura fantasmi (lo sono in un film di Loach così come in uno di Von Trier, in un’opera di Spielberg allo stesso modo di un film di Kechiche e così via), qualcosa che ogni volta s’incarna, disincarna nel limbo cinematografico; nel momento in cui interpretano spettri. Spettri di spettri le sagome che si muovono sullo schermo, nella notte dello schermo: fantasmi, fantasime, fantasie (l’etimologia è chiara, trasparente) che mettono in scena la loro stessa natura, che discutono implicitamente, animatamente, sulla loro stessa essenza, origine, sulla loro stessa anima. E quando capita un film così non si resta insensibili, a prescindere dalla profondità, dalla vertigine semantica delle immagini. Non siamo dalla parte di Erice, Hellman, o Weerasethakul – cioè in un’eterna concentricità del segno cinematografico, del metaplasma che rimanda continuamente, infinitamente a sé: spettro elevato a potenza – bensì in una versione fanciullesca di questo discorso sulla natura delle fantasime, un incanto immediato, immediatamente consumabile (a tratti stereotipo come può esserlo un disegno di un bambino o schematico, di finestra in finestra, come in un fumetto) che mi sembra la cifra distintiva del cinema di Risuleo, autore anche di fumetti.

PASSATO in concorso in Orizzonti all’ultima Mostra di Venezia, Notte fantasma è da oggi in sala, a rappresentare un esempio inusuale di cinema italiano, che ha dentro qualcosa dello Scorsese di Fuori Orario, o di Tarantino, magari quello di Pulp Fiction, con sempre meno referenti di Gondry rispetto ai film precedenti (qui magari la scena nella stanza della figlia del poliziotto su cui campeggia l’animazione legnosa di un gabbiano): insomma un gusto per il racconto, per l’avventura che traspare già dai titoli di testa, un allestimento di font viola-verde su sfondo di luci a forma di cerchio, che sono lumi, fuochi fatui di questo racconto di fantasmi. Quanto sono “reali” i personaggi di questo film e quanto invece sono spettri, magari usciti dal cimitero in cui giacciono le spoglie dei Proietti?

La notte fantasma si snoda tra strade periferiche di una Roma accidentale, incidentata, sospirando, mormorando dagli angoli deserti, da un grumo d’ombre giacente in anfratti, intercapedini, cunicoli che sfociano nell’alba improvvisa, sfiatando in sax, in brandelli di requiem, in note larghe di musica ambientale. Sono esalazioni, rantoli, scricchiolii di metaplasma (cioè musiche originali, bellissime, di Francesco Rita), lamentazioni di lemuri vaganti nella penombra, tra i fuochi fatui della città.

PRIMO fra tutti il sovrintendente Proietti – un eccezionale Edoardo Pesce che folleggia tra risse, fughe velocissime, disquisizioni sulla religione che prevedono l’avvento di una cripto-religione che veneri il signore Gesù Cripto: resterà, ne sono certo, questa prova d’attore sublime, come una delle più straordinarie degli ultimi tempi –: anima in pena che si imbatte in Tarek, ragazzo corpulento, di padre egiziano (Yothin Clavenzani). Il film sarà l’assestamento – certo balzano, straniante – dei rapporti di forza tra i due e il capovolgimento di questo assetto. Film di formazione, di lacerazioni sottese; film di solitudini svelate, appena smorzate da abbracci e strette di mano che si diluiscono nel Tevere. Proietti supplica sua figlia di non dimenticarlo. Ecco, non ci si dimenticherà di questi fragili, feriti a morte, spiriti vaganti nella notte.

Col titolo «Modi di vivere. Il desiderio dell’aria», «Fuori orario» dedica la notte di domani a Fulvio Risuleo in dialogo con Marco Colli sui loro film presentati nel programma – Raitre dalle 1.35. Si vedranno, dopo la conversazione curata da Roberto Turigliatto e Fulvio Baglivi, «Guarda in alto» un viaggio meraviglioso sui tetti di Roma, tra fughe, peregrinazioni, incontri bislacchi, cunicoli e labirinti. Dice Risuleo: «La città è la protagonista di questo film, i tetti, la città sono un luogo che io ho potuto creare perché appunto non esiste un immaginario di tetti nel cinema. E «Giovanni Senzapensieri» (1986) di Marco Colli, la storia di Giovanni, nobile squattrinato, che vive nell’antico palazzo degli avi a Roma accudito da due governanti, Teresa e Letizia, innamorato della vicina di casa.«Fuori orario», una notte col regista

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento