Note oniriche dal mondo di Ariosto
L’ 8 gennaio 1685 andò in scena a Versailles, alla presenza del Re Luigi XIV, Roland, una «tragédie en musique» di Philippe Quinault, la musica era di Jean-Baptiste Lully, come ormai si chiamava il fiorentino Giovan Battista Lulli, fondatore dell’opera francese. Sullo stesso libretto rimaneggiato da Jean-François Marmontel, andò in scena a Parigi nel 1778 un Roland di Niccolò Piccinni, il rivale di Gluck, di notevole spessore musicale e drammaturgico. La tragedia in musica di Lully non è il primo spettacolo di teatro musicale il cui soggetto sia tratto dall’Orlando Furioso di Ariosto. La fortuna del poema, la cui edizione definitiva fu pubblicata nel 1532, è stata immediata, tra musicisti e teatranti. Anche perché letteratura, teatro, musica appartenevano ancora allo stesso mondo. Marco da Gagliano, il compositore di quella Dafne, che nel 1608 fu tra i primi esempi di teatro musicale (la monteverdiana Favola di Orfeo è dell’anno prima), aveva nel 1623 messo in musica a Firenze un Medoro. Tra i melodrammi, che nel secolo successivo, si ispirano al poema di Ariosto ce ne sono tre del grandissimo Händel, uno più straordinario dell’altro: Orlando, nel 1733, Ariodante e Alcina nel 1735.
Tutti rappresentati, con immenso successo, al King’s Theater di Londra, l’attuale Royal Opera House Covent Garden. Ma era stato preceduto, in Italia, da molti compositori, tra cui Vivaldi che mise in scena a Venezia, senza molto successo, nel 1727, un Orlando, più tardi diventato Orlando Furioso. Nel 1713 Vivaldi aveva messo le mani, come impresario, a un Orlando Furioso di Giovanni Alberto Ristori, e l’anno seguente volle sfidare il pubblico con un suo Orlando finto pazzo, che fu invece un solenne fiasco. Il librettista era lo stesso. Verso la fine del secolo, nel 1782, sorprendentemente, Haydn mise in scena a Eszterháza un Orlando paladino, e a un primo sguardo sembrò fuori tempo, ma in realtà compose uno dei suoi lavori teatrali più affascinanti: ironia e senso tragico della vita non si distinguono. Risultato eguagliato forse, nel 1791, l’anno della morte di Mozart, solo dall’Anima del filosofo, dove viene messo in scena il mito di Orfeo.
Il teatro di Mozart non era ancora esploso, o almeno non come fenomeno nuovo nei teatri tedeschi: il 1782 è lo stesso anno del Ratto dal serraglio. Le nozze di Figaro andarono in scena a Vienna nel 1786. Nel 1887 a Praga andò in scena Don Giovanni. Sono gli anni in cui Haydn compose le sinfonie che vanno dalla 76a alla 81a. Ma anche altre opere teatrali straordinarie: Il mondo della luna, L’isola disabitata, Armida, e alcune delle sue sonate per pianoforte più intense. Come mai questo lungo, prolungato interesse per il mondo fantastico di Ariosto? L’altro poeta italiano che occupa tutte le scene di Europa è Tasso; ma Ariosto scrive una poesia molto particolare: è, insieme a Italo Calvino, l’unico scrittore italiano che si avventura veramente nel fantastico. La tradizione italiana è, infatti, soprattutto realistica.
Le fiabe di Basile sono anch’esse fiabe realistiche. Il musicista trova in Ariosto il suo stesso mondo: il mondo della visione onirica, dell’astrazione, del paradosso. E, soprattutto, com’era nel gusto dell’epoca, un poeta che mescola tragico e comico, spesso inestricabilmente intrecciati: difficile distinguere dove finisce il tragico e dove comincia il comico. Naturale che il pubblico europeo vi si riconoscesse. Soprattutto per la sublime leggerezza con cui tutto è raccontato. E anche l’irrequietezza dell’oggi nessuno più dell’Ariosto ci ha insegnato a decifrarla.
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