Note a margine, il rock va in biblioteca
Storie/Autori e libri, ecco da chi è ispirato il mondo del pop Canzoni, titoli, scelta del nome d’arte. Musica e letteratura sono strettamente imparentate. Da Dylan a Bowie, da Morrissey ai Radiohead, tutti hanno uno scrittore a cui fare riferimento
Storie/Autori e libri, ecco da chi è ispirato il mondo del pop Canzoni, titoli, scelta del nome d’arte. Musica e letteratura sono strettamente imparentate. Da Dylan a Bowie, da Morrissey ai Radiohead, tutti hanno uno scrittore a cui fare riferimento
Amiamo immaginarci i protagonisti del pop e del rock come molto lontani dal mondo dei libri, ma è solo un luogo comune. In realtà è difficile pensare a un artista musicale che non abbia precisi riferimenti letterari e non si sia fatto ispirare da poeti o da scrittori. I due universi sono meno separati di quanto si voglia pensare. Ci sono però autori e libri che più di altri hanno saputo lasciare il segno. Se è vero che Bob Dylan è un candidato perenne al premio Nobel della letteratura, molti grandi scrittori del passato meriterebbero, almeno alla memoria, un disco di platino. Se si dovesse creare un piccola biblioteca per capire il rock, alcuni titoli non dovrebbero mancare.
William S. Burroughs –
«Il pasto nudo»
Burroughs è stato il talento più trasgressivo e pericoloso della Beat Generation, fu anche quello più votato all’autodistruzione morale (uccise la moglie sparandole alla testa in un gioco finito male) e fisica (sperimentò qualsiasi tipo di droga) anche se visse fino a 83 anni a dispetto degli eccessi. Il suo romanzo Naked Lunch (Il pasto nudo) fu scritto nel 1959 e tentava di ridefinire la fiction facendo ampio uso della tecnica narrativa del cut-up e attingendo a piene mani da visioni allucinatorie derivate dal consumo di sostanze. Il libro, più volte censurato, divenne un culto soprattutto per i musicisti rock di una generazione successiva. La tecnica del cut-up che portava, come spiegò l’autore, il collage dalla pittura alla scrittura si adattava benissimo ai testi rock e il ricchissimo immaginario morboso, delirante e fantascientifico offriva un’ampia tavolozza con cui anche gli artisti pop potevano sperimentare. Burroughs finì sulla copertina di Sgt. Pepper’s dei Beatles e divenne a partire dalla fine degli anni Sessanta un idolo e un riferimento. Burroughs firmò anche una serie di interviste ai musicisti rock per poi diventare loro vate e collaboratore. Lou Reed, David Bowie, Debbie Harry, Patti Smith, Joe Strummer, i Led Zeppelin, Ian Curtis furono tutti suoi ammiratori. Mick Jagger venne coinvolto in un tentativo, poi abortito, di trasformare Naked Lunch in un musical rock. La band Steely Dan deve il suo nome, in italiano «Dan d’acciaio», all’immaginaria marca di un vibratore che compare nelle pagine del libro. I Soft Machine presero invece ispirazione dal successivo romanzo La macchina morbida. L’autore fu amico di Thurston Moore e di Kim Gordon dei Sonic Youth. Era anche un eroe per Kurt Cobain. I due avevano in comune la tragica passione per le armi da fuoco e collaborarono a un ep intitolato The «Priest» They Called Him, pubblicato nel ’92. Burroughs lavorò con Tom Waits per il musical The Black Rider, realizzò una cover del brano dei Rem Star Me Kitten e registrò con Michael Franti & The Disposable Heroes of Hiphoprisy un suo album intitolato Spare Ass Annie and Other Tales uscito nel 1993 quando ormai si avvicinava agli 80. La sua ultima apparizione filmata è in un videoclip, Last Night on Earth degli U2. Anche rock band più giovani come i The Horrors e i Klaxons citano Il pasto nudo tra le loro massime influenze.
Lewis Carroll –
«Le avventure di Alice
nel Paese delle Meraviglie»
L’universo fantastico che Lewis Carrol descrisse nella sua favola a metà Ottovento (e nel suo seguito Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò) non ha mai smesso di stregare gli artisti. Il rock psichedelico vide le opere dello scrittore inglese come un’iniziazione letteraria al mondo delle droghe. Una delle canzoni rock più significative degli anni Sessanta racconta proprio questo. È White Rabbit(Coniglio bianco) dei Jefferson Airplane che rilegge la fiaba in chiave lisergica. Grace Slick scrisse il brano pensando ai genitori che stigmatizzavano le droghe, ma leggevano ai bambini una storia che era un invito a «nutrire la propria mente» con sostanze lisergiche e funghi allucinogeni. Non sorprende quindi scoprire che Alice fu uno dei punti di riferimento per Syd Barrett, divenuto poi il cappellaio matto del rock. «Non faceva altro che leggere libri per l’infanzia – ha raccontato la sorella di Syd, Rosemary -. Era affascinato dal mondo di Alice e dall’universo infantile che era quello in cui viveva, quello di cui scriveva». Da un certo punto in poi la realtà scomparirà del tutto e Barrett si trovò, anche per colpa degli acidi, prigioniero della sua fantasia. John Lennon in un’intervista del 1965 negò molti dei riferimenti letterari che attribuivano ai Beatles, ma ammise di amare tantissimo le avventure di Alice tanto da rileggerle ogni anno. Nel mondo della musica i riferimenti al Paese delle Meraviglie sono infiniti. In Italia nel 1980 il gruppo prog dei Perigeo dedicò al libro di Carroll un concept album. Tom Petty vestì il ruolo del Cappellaio matto nel celebre videoclip di Don’t Come Around Here No More. L’album Alice di Tom Waits del 2002 si ricollega non tanto alla fiaba, ma all’ossessione che Lewis Carrol aveva nei confronti di Alice Liddell, la bambina che fu d’ispirazione per la sua opera.
Jack Kerouak – «Sulla strada»
Macchine veloci, vita randagia, alcol, sesso e insofferenza per le regole. Per molti aspetti Jack Kerouac fu una rockstar prima che il mondo scoprisse chi fossero le rockstar. Anche se lo scrittore preferiva il jazz, è diventato un’icona del rock tanto da essere citato in più di 250 canzoni. Dylan, Jim Morrison, Springsteen, Bowie, Tom Waits sono tutti stati ispirati dall’eroe della Beat Generation. Ma citazioni dello scrittore compaiono in brani diversissimi di artisti tra i quali Dexy’s Midnight Runners, The Smiths, 10.000 Maniacs e Beastie Boys. L’album del 1997 Kerouac: Kicks Joy Darkness radunava in un disco-tributo decine di star legate allo scrittore, tra essi Micheal Stipe, Eddie Vedder, John Cale, i Sonic Youth, Steven Tyler e i Morphine. Tra i suoi seguaci anche gli artisti dell’ultima generazione Pete Doherty, Brian Fallon dei Gaslight Anthem. Ben Gibbard (Death Cab for Cutie) e Jay Farrar (Son Volt) hanno realizzato nel 2009 l’omaggio One Fast Move or I’m Gone: Kerouac’s Big Sur. Un altro tributo è uscito nel 2013 firmato da una serie di artisti indie rock americani (The Low Anthem, William Fitzsimmons, Lee Ranaldo dei Sonic Youth) e intitolato Esperanza. A questi due progetti ha collaborato il produttore Jim Sampas, nipote dello scrittore.
Vladimir Nabokov – «Lolita»
«Proprio come il vecchio in quel libro di Nabokov» così cantava Sting nel 1980 nel brano dei Police Don’t Stand so Close to Me che racconta l’ossessione di un insegnante per un’alunna troppo giovane per lui. L’amore morboso narrato da Nabokov nel 1955 e diventato un film diretto da Kubrick nel 1962 è ormai proverbiale e simbolico. C’è chi ha visto una relazione tra il protagonista di Ballad of a Thin Man di Dylan e John Ray, personaggio fittizio che firma il prologo del libro. Bowie ha citato il romanzo tra i libri della sua vita. Ma è la figura di Lolita che non ha mai cessato di ammaliare, diventando un punto di riferimento nella cultura pop, sopratutto adolescenziale. Negli anni Novanta fece scalpore una copertina di Rolling Stone che ritraeva una 17enne Britney Spears come Lolita. Dieci anni dopo era Taylor Swift a essere definita dalla stessa rivista la «Lolita del country». Le dive musicali di oggi come Katy Perry e Lana Del Rey si rifanno a più non posso all’immaginario di Nabokov. La Perry nella copertina del suo secondo album ricalca l’immagine della ragazzina come se la immaginò Kubrick e canta «Ho studiato Lolita religiosamente». Lana Del Rey è ossessionata dal romanzo e lo cita a più non posso nel suo album d’esordio Born to Die del 2012.
George Orwell – «1984»
L’incubo distopico di George Orwell pubblicato nel 1949 non ha mai cessato di colpire per la sua attualità. Ispirato ai totalitarismi della prima metà del Novecento ha rivelato insospettabili qualità profetiche anticipando un mondo in cui la tecnologia riesce a creare una sorveglianza da cui è impossibile scappare. Il mondo del rock è stato più volte sedotto dalle pagine dello scrittore britannico. David Bowie nel 1973 lavorò a una riduzione teatrale di 1984 e iniziò a comporre le musiche. Era un’idea ambiziosa, ma non andò mai in portò perché i titolari dei diritti dell’opera letteraria negarono il permesso alla rockstar. Non tutto andò perduto, le canzoni che il Duca Bianco aveva già composto (We Are the Dead, Big Brother e 1984) finirono nell’album Diamond Dogs. In cerca di eterne trasformazioni, Bowie archiviava con l’album il personaggio di Ziggy Stardust per immergersi in un concept album dedicato a un mondo post-apocalittico di cui Orwell diventa solo un tassello e in cui comparivano anche citazioni di William S. Burroughs il cui stile cut-up confluisce nel brano Sweet Thing. Come le sue fonti di ispirazione, anche il lavoro di Bowie aveva qualcosa di profetico, anticipando sia nello stile musicale che nei contenuti la rivoluzione punk che sarebbe arrivata poche stagioni più tardi. Molti altri artisti hanno usato la visone lucida e terrorizzante di Orwell come ispirazione. Lo hanno fatto i Pink Floyd negli album Animals e The Wall. Gli Eurythmics curarono la colonna sonora per la riduzione cinematografica di 1984 diretta da Michael Radford creando una raccolta che Dave Stewart ha descritto come «un incrocio tra Kraftwerk, ritmi tribali africani e Booker T and the MGs». È interamente ispirato al libro anche The Resistance del 2009 dei Muse. «Gli scandali e il rifiuto dei cittadini nei confronti della politica – ha spiegato Matt Bellamy – sono stati un elemento centrale del disco. Mi sono così andato a rileggere 1984 e sono stato colpito dalla storia d’amore che racconta e dalla sua tragicità. Ne sono rimasto molto colpito e tutti i testi di The Resistance traggono ispirazione da questo». I Radiohead nel loro album più politico e caustico, Hail to the Thief del 2003, si scagliavano contro la guerra in Iraq e contro le guerre «giuste» di George W. Bush. L’incipit del disco è intitolato 2+2=5 lo slogan con cui Orwell esemplificava il potere dell’autoritarismo di imporre la propria verità contro ogni evidenza. Altri brani orwelliani sono Talk Shows on Mute degli Incubus in cui la band americana fonde 1984 con Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick. Nella playlist del Grande fratello compaiono anche una lunga serie di canzoni punk: 1977 dei Clash, California Über Alles dei Dead Kennedys, Boots Stamping on a Human Face” dei Bad Religion, Doublespeak dei Thrice e The Future Is Now degli Offspring.
Edgar Allan Poe – «Racconti del mistero, dell’incubo e del terrore»
«Gli uomini mi hanno definito pazzo, ma non è ancora ben chiaro se la pazzia sia o non sia la più alta forma di intelligenza» questa frase tratta da un racconto di Poe potrebbe senza dubbio essere adattata anche a molte rockstar, così come lo fu la vita dello scrittore americano: breve, tragica e avventurosa. L’autore è sempre stato venerato nel mondo del rock non solo per la sua biografia, ma per la sua modernità, il suo gusto per il macabro e per l’insolito, la sua capacità di creare anche in racconti molto brevi mondi fantasiosi e scenari spaventosi. Era amato dai Beatles e compare sulla copertina di Sgt. Pepper’s e viene citato nel brano caotico e geniale I Am the Walrus. Era una delle letture preferite di Dylan che lo nomina in Just Like Tom Thumb’s Blues. Nel 1969 apparve il primo concept album a lui dedicato firmato dalla misconosciuta band dei Glass Prism. Più fortuna ebbe Tales of Mystery and Imagination dell’Alan Parsons Project datato 1976. Peter Hammill dei Van der Graaf Generator realizzò l’opera The Fall of the House of Usher nel 1991. Nel 1997 una serie di artisti tra cui Iggy Pop, Jeff Buckley e Dr. John interpretarono racconti brevi e poesie di Poe per il cd Closed on Account of Rabies. Il curatore della raccolta, Hal Willner, ha prodotto nel 2003 The Raven doppio album che Lou Reed ha dedicato interamente alla vita e all’opera dello scrittore. Innumerevoli i tributi a Poe nel mondo del metal. Tra tutti il brano Murders in the Rue Morgue dei primi Iron Maiden o l’album Nymphetamine dei Cradle of Filth.
Arthur Rimbaud –
«Una stagione all’inferno»
«Sono Rimbaud in un giubbotto di pelle» amava dire Jim Morrison. «Quando lessi i suoi versi le campane suonarono. Tutto improvvisamene sembrava avere un senso» disse Bob Dylan. «Da ragazzina ho sognato così tanto Rimbaud che è come se fosse stato il mio ragazzo» confessò Patti Smith. «Sono stato ossessionato dalla vita di Rimbaud sin di tempi dell’università» ha ricordato Iggy Pop. «Le sue parole erano come un lanciafiamme» cantavano i Clash. Negli anni Sessanta era visto come un pioniere. Un decennio dopo il punk aveva più rabbia che ideologia e rifiutava punti di riferimento, ma adottò Rimbaud come suo vate. Richard Hell dei Television scelse il suo nome pensando a Une saison en enfer (il suo compagno di band divenne Tom Verlaine), il leader dei Crass si battezzò Penny Rimbaud. Il poeta maledetto francese con la sua angoscia, la sua irrequietezza, la sua ricerca della bellezza, il suo messaggio di rivolta e la sua frustrazione, rappresenta una delle icone poetiche su cui è stata costruita l’anima più ribelle del rock.
John Steinbeck – «Furore»
Non c’è libro che descriva con maggior intensità la Grande Depressione americana più di Furore, capolavoro di Steinbeck pubblicato nel 1939. Il libro che l’autore disse di aver scritto in soli cento giorni, racconta la tragica epopea della famiglia Joad che abbandona la propria fattoria dell’Oklahoma ormai sterile e soffocata dalla siccità per inseguire quel che resta del sogno americano in California. Sulla West Coast troverà solo miseria e sconfitte. Al centro della scena c’è Tom Joad, eroe tragico di un’epopea dei vinti. La figura di Tom divenne un’icona anche grazie al film dell’anno dopo diretto da John Ford. Il cantautore Woody Guthrie, fu per il folk quello che Steinbeck fu per la letteratura, e fu il primo a portare il «furore» del personaggio all’interno del mondo musicale con la ballata Tom Joad confluita nella raccolta Dust Bowl Ballads del 1940. Lo stesso Steinbeck fu stupito dal brano e dal modo in cui Guthrie era riuscito a cogliere in pochi versi lo spirito e le vicende del romanzo. Steinbeck e Guthrie sono due figure fondamentali nella formazione di Dylan. Il giovane Bob dedicò ai tempi del liceo un saggio di 22 pagine all’autore di Furore. Fu poi Bruce Springsteen a recuperare la figura sfortunata, ma a suo modo nobile, di Tom cantando storie di povertà e disperazione in The Ghost of Tom Joad. L’antieroe diventa per il Boss una sorta di milite ignoto della povertà in cui si possono rispecchiare homeless, immigrati messicani, operai sull’orlo del licenziamento ed ex-galeotti senza futuro. «Furore è un romanzo che mi ha accompagnato per tutta la carriera – ha detto Springsteen -, mi ha sempre ispirato e mi ha fatto ambire a realizzare come artista qualcosa che davvero avesse un significato». Il brano The Ghost of Tom Joad è stato cantato anche da Rage Against the Machine, Rise Against, Elvis Costello e Mumford & Sons.
J.R.R. Tolkien – «Il signore degli anelli»
Prima ancora che la saga dell’anello diventasse un blockbuster cinematografico trasformandosi ancora di più in un punto di riferimento per la cultura popolare, l’universo fantasy di Tolkien aveva affascinato le rockstar meno propense a parlare nei loro testi di temi adolescenziali o problematiche sociali. Primi fra tutti i Led Zeppelin le cui liriche sono frequentemente calate in scenografie fantastiche e si occupano di temi legati all’occultismo. I personaggi de Il signore degli anelli compaiono esplicitamente nel brano Ramble On, tratto dal loro secondo album in cui a parlare sembra proprio sia Frodo visto che si narra di un viaggio nella terra di Mordor e del nemico Gollum. Anche The Battle of Evermore e Misty Mountain Hop sono ispirate all’opera dello scrittore inglese e secondo alcuni appassionati la stessa Stairway to Heaven (su cui per la verità le interpretazioni si sprecano) contiene vari riferimenti alla saga dell’anello e ai suoi personaggi, Gandalf su tutti. La figura del mago ha ispirato senza dubbio il brano The Wizard dei Black Sabbath il cui testo fu firmato da Geezer Butler. Appassionati dei racconti della Terra di Mezzo anche i Rush che hanno attinto dall’epopea fantasy per i brani Rivendell e The Necromancer del 1975. Presenti anche se non espliciti i riferimenti all’universo di Tolkien nei brani The Gnome dei primi Pink Floyd, Stagnation brano del 1970 dei Genesis e Ride a White Swan dei T. Rex di Marc Bolan. La power metal band tedesca Blind Guardian ha dedicato diverse composizioni alla trilogia di Tolkien tra cui un concept album, Nightfall in Middle-Earth, ispirato ai miti fantastici de Il Silmarillion.
Oscar Wilde – «Il ritratto
di Dorian Gray»
Se altri scrittori hanno incarnato la rivolta e il desiderio di libertà del rock, Oscar Wilde è stato l’ispirazione per lo spirito più raffinato e appariscente, tanto da essere giudicato da alcuni l’inventore dell’estetica del glam rock negli anni Settanta. Qualcuno lo ha anche definito uno Ziggy Stardust tardvittoriano. Ha spiegato il regista Todd Haynes, autore del film Velvet Goldmine che celebra i fasti della scena glam: «Più ho fatto ricerche più mi sono accorto dell’eredità culturale di Wilde. Quello che il glam cercava di dimostrare era la stessa posizione contro la natura, riletta in un contesto pop. Tra gli artisti rock di quella scena e i musicisti degli anni Sessanta c’era la stessa differenza che separava Wilde dai romantici che lo avevano preceduto. In entrambi i casi c’era un giocare con gli orientamenti sessuali, un’enfasi nell’immagine e l’idea di fare di se stessi delle celebrità». Un narcisismo decadente impersonato da Dorian Gray e rivissuto da tante star del rock scenografico degli anni Settanta, ma anche da artisti successivi come Morrisey o band di nuova generazione come gli inglesi Libertines che dedicano a Wilde-Dorian Gray il brano Narcissist. In Italia i Marlene Kuntz hanno scritto la canzone Il genio (L’importanza di essere Oscar Wilde). Ha detto il rocker irlandese Gavin Friday: «Penso che Wilde sia rilevante oggi come lo era un secolo fa. Anche se la cultura rock è in parte costruita da ribelli americani. Era un esteta meraviglioso che credeva nella bellezza. Io persi la testa per Dorian Gray».
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