Alias Domenica

Nostalgia di infanzia dal mondo abcaso

Narrativa di lingua russa Per la prima volta tradotto da Salani, "L'energia della vergogna" guarda al terribile mondo del totalitarismo attraverso l’occhio di un bambino

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 29 giugno 2014

Almeno fino agli anni novanta dello scorso secolo era lecito porsi la questione dell’esistenza, accanto alla letteratura russa sovietica e dell’emigrazione, di una letteratura russofona presente in altri contesti etnici e culturali. Per molti intellettuali e scrittori appartenenti alle minoranze presenti nei confini dell’Unione Sovietica era naturale rivolgersi al russo come lingua di espressione letteraria, in modo abbastanza analogo a quanto avveniva per le letterature postcoloniali anglofone e francofone. La letteratura sovietica era ricca di casi di scrittori non russi che sceglievano il russo come lingua letteraria: fra questi, il kirghiso Cingiz Ajtmatov e il ciukci Jurij Rytheu. Oltre a rappresentare la propria cultura nazionale, questi scrittori svolsero un ruolo importante nella storia della letteratura russa, arricchendola non solo con temi e con dettagli descrittivi esotici, ma anche nei toni e nelle diverse forme della narrazione.

Uno degli esempi più interessanti è quello dello scrittore abcaso Fazil’ Iskander, certamente tra gli autori più originali della letteratura tardo-sovietica, quella tra stagnazione e perestrojka, e oggi considerato un patriarca della letteratura russa, come testimonia, tra l’altro, il premio di stato conferitogli il 12 giugno scorso. Fazil’ Iskander è ben noto anche in Italia, dove sono stati tradotti veri e propri capolavori quali La costellazione del caprotoro, La notte e il giorno di Cik, Sandro di Cegem, e ancora Il tè e l’amore per il mare, L’uomo e i suoi dintorni e Oh, Marat! Ora la Salani propone, con la prefazione di Moni Ovadia e nella bella traduzione di Emanuela Guercetti, un romanzo breve dal titolo L’energia della vergogna (pp. 208, euro 12,90) scritto nel 1987 e pubblicato la prima volta sulla rivista «Znamja» col titolo La vecchia casa sotto il cipresso.

Nato a Suchumi da madre abcasa e padre iraniano (il padre, proprietario di una fabbrica di mattoni, fu deportato dall’Urss nel 1938), Iskander si affermò agli esordi come poeta e questa sua prima esperienza letteraria costituisce senza dubbio una delle fonti del suo particolare stile immaginifico. Come altri giovani scrittori dell’epoca – tra i quali Vasilij Aksenov e l’autore del Soldato Conkin Vladimir Vojnovic – anche Iskander consumò la propia formazione intorno alla rivista «Junost’», uno dei riferimenti costanti della nuova letteratura sovietica nata dal disgelo.
Il forte senso di libertà e di ribellione che percorre tutta la sua opera si manifesta, tra le pagine di L’energia della vergogna, affrontando il terribile mondo del totalitarismo attraverso il prisma dell’ingenua coscienza di un bambino, e alternandovi i toni epici della narrazione nostalgica applicata alla catastrofica incursione della civiltà sovietica nel sistema patriarcale degli abcasi, minoranza caucasica che ancora oggi difende con difficoltà, ma vigorosamente, la propria identità tra Russia e Georgia (per effetto della guerra russo-georgiana l’Abcasia è oggi una repubblica indipendente de facto, ma con sporadici riconoscimenti internazionali).

Nella prosa di Iskander compare uno specifico linguaggio esopico che si realizza poi in una dimensione ludico-carnevalesca, complicata dalla trasposizione scritta del racconto orale nella duplice ricezione epica e storico-documentaria: un processo già evidente nel ciclo di Sandro di Cegem, personaggio grandioso e contraddittorio, difensore dell’onore, picaro e truffatore, istrione e fannullone, grande Tamada di banchetti, toastmaster.
Sandro sembra un mutante in salsa caucasica dei personaggi di Rabelais o Cervantes, un eroe che agisce sullo sfondo dello scontro tra mondo patriarcale e socialismo autoritario. Stalin stesso, come Berija, compare come presenza ambigua e coinvolgente nel complesso intreccio di accadimenti e di capovolgimenti, al di là delle barriere temporali, secondo la migliore tradizione della narrazione epico-storica. Non a caso il multiforme e imprevedibile mondo di Iskander, tra saga e satira, ha fatto parlare di realismo magico con chiaro riferimento al mondo di Gabriel García Márquez.

Negli anni che sarebbero seguiti alla scrittura di L’energia della vergogna l’autore abcaso aggiunse un sottofondo etico-psicologico nel quale l’impegno civile risultava più evidentemente marcato, come nel caso del racconto lungo Il piccolo gigante dal grande sesso che vide la luce su Metropol’ nel 1979, il celebre almanacco che fu al centro di un eclatante caso letterario e politico. I tratti filosofici e allegorici sono invece al centro della fiaba Conigli e pitoni, nella quale in toni di grottesca tragicità si offre un quadro senza speranze della società sovietica. Molti dei procedimenti e dei temi impiegati da Iskander sono rintracciabili anche in L’energia della vergogna, questo breve romanzo di formazione raccontato con toni che ancora una volta ricordano il fluire della narrazione orale (Iskander è scrittore fortemente radicato nella dimensione folclorica) mentre affrontano il tema della vergogna come sentimento che trasforma la debolezza in energia vitale, temprando l’identità e la personalità.

Sullo sfondo di un mondo in disgregazione, sebbene ricco di suggestione poetica e corroborato dalla forza del sogno e dell’ironia, Iskander costruisce l’azione concentrandosi sulla vita di un cortile popolato da una folla di personaggi eccentrici (lo zio Samad sempre alticcio, il cappellaio caraita Samuil, il dolce armeno Avetik), autentici nella loro quotidiana concretezza. Il risultato è un’immagine originale e vitale dell’alterità, della specificità culturale, della forza della libertà nella periferia dell’impero sovietico contro ogni conformismo, ottusità e qualunquismo.

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