Norvegia, l’ecologia che respira petrolio
Modelli di sviluppo Il paese che è primo in tutti gli indici di sviluppo umano e sostenibile si basa sul petrolio, una contraddizione che interroga e sprona gli ecologisti norvegesi
Modelli di sviluppo Il paese che è primo in tutti gli indici di sviluppo umano e sostenibile si basa sul petrolio, una contraddizione che interroga e sprona gli ecologisti norvegesi
«Se dovessi sintetizzare con una sola parola il motivo per cui il mio Paese è così ricco, sceglierei «contraddizione».
Zahra è una norvegese figlia di immigrati iraniani; frequenta il corso di Ingegneria energetica e ambientale nella prestigiosa Norwegian University of Science and Technology di Trondheim, fucina di scienziati e tecnici di primo livello in campo scientifico. Come la gran parte dei suoi connazionali al termine delle lezioni ama praticare il friluftsliv, «vivere all’aria aperta», la filosofia di vita che consente ai norvegesi di sentirsi strettamente connessi con il loro ambiente facendo lunghe passeggiate nella rigogliosa natura.
La relazione della popolazione con il territorio affonda le radici nella storia, ma è talmente profonda che anche chi ha origini geograficamente lontane, come Zahra o come me, viene presto coinvolto e integrato in questo equilibrio. «Per raggiungere i primi posti nelle classifiche mondiali degli indici di sviluppo umano noi norvegesi abbiamo sfruttato la natura: se abbiamo modellato una società che ci permette di vivere in sicurezza e in pace lo dobbiamo essenzialmente al petrolio. Questa è la prima contraddizione», dice Zahra.
E ancora: «Se i miei genitori sono arrivati in Norvegia alla fine degli anni Ottanta contribuendo a formare una società multiculturale dove il 18% della popolazione è composta da immigrati, devo ringraziare il petrolio. Questa è la seconda contraddizione. Eppure oggi ci troviamo a dover rivedere le nostre posizioni; sappiamo che la nostra ricchezza è stata costruita su comportamenti ambientali globali poco etici. Questa è la terza e più grande contraddizione a cui oggi cerchiamo di porre rimedio».
La crisi ambientale ha creato un senso di appartenenza globale nei norvegesi che, dopo aver sguazzato per mezzo secolo nell’oro nero, si sono trovati con le mani nere e unte. Così, a cominciare proprio dalle compagnie petrolifere, l’industria e l’economia nazionale stanno cercando di porre rimedio ai danni. «L’Equinor, la principale società petrolifera del Paese, è già pesantemente impegnata nello sviluppo di energia eolica tanto che, secondo la Windeurope, gli impianti eolici gestiti dalla compagnia norvegese forniscono il 7% dell’intera capacità energetica prodotta in Europa» – spiega Henrik Helland capo del progetto sull’energia eolica del Centro di ricerca per l’energia eco-compatibile.
È ancora Hellan ad informarmi che nel 2020 la stessa Equinor investirà il 25% del proprio budget ricerca in energie rinnovabili. «Non è più possibile tracciare una linea netta tra chi investe nelle energie rinnovabili e chi, invece, investe in energie fossili: tutto è interconnesso», afferma Ingunn Madsen, ricercatrice presso la Statkraft, la più grande produttrice di energie rinnovabili in Europa.
Anche il Fondo pensionistico governativo, che con un capitale di 900 miliardi di euro ricavati dal commercio petrolifero è alla base dell’ombrello sociale norvegese, nel 2019 ha rivisto i propri investimenti escludendo 134 compagnie che hanno interessi nell’industria di esplorazione ed estrazione petrolifera per un totale di settanta miliardi di NOK.
Anche sul piano interno i norvegesi si sono messi in gioco intervenendo con soluzione costose e impegnative per i singoli che costringeranno in molti a rivedere il concetto di proprietà: dal 2020 le nuove costruzioni (abitative e non) dovranno essere energeticamente autonome e verrà gradualmente vietato l’uso di riscaldamento fossile per tutti i restanti edifici (attualmente solo il 20% del parco immobiliare è dotato di riscaldamento con energia rinnovabile). Queste direttive hanno indotto gli architetti norvegesi a cercare soluzioni alternative trovandole nel co-housing, una pratica di condivisione collettiva degli spazi già conosciuta negli anni Settanta-Ottanta, ma in seguito abbandonata.
Sul piano dell’inquinamento atmosferico nel campo della mobilità, il governo, oltre ad aver sviluppato un sistema di trasporti pubblici efficiente e capillare, ha creduto nella mobilità elettrica garantendo sussidi e agevolazioni che hanno portato la Norvegia a divenire il primo Paese al mondo per auto elettriche pro capite.
Tutto bene dunque? Non proprio perché il mercato dell’elettrico, drogato dalle allettanti condizioni economiche, ha disincentivato l’uso dei mezzi pubblici creando problemi di congestione del traffico cittadino e la necessità di dotare nuove aree di parcheggi (in genere sottratte al verde). Inoltre il parco dei veicoli a combustione fossile rimane rilevante, dato che il 63% dei possessori di auto EV possiede anche una seconda auto ibrida, benzina o diesel.
La scommessa ambientale di Oslo è la riduzione entro il 2030 delle emissioni di CO2 del 40% rispetto al 2005. Un progetto ambizioso per un Paese dove il 46% dell’energia totale fornita proviene da rinnovabili, ma che comunque è ancora lontana dall’escludere le fonti fossili dalla sua dipendenza energetica (il petrolio fornisce il 36,8% dell’energia e il gas naturale il 18,2%). Inoltre il 30% dei 10 milioni di turisti che ogni anno visita la Norvegia lo fa su navi da crociera, messe sotto accusa dagli ambientalisti per il loro alto grado di inquinamento e spreco.
Per mantenere lo schema proposto si dovranno sostituire 100.000 ettari di foreste che oggi, a causa della completa maturazione, metabolizzano una quantità molto bassa di CO2. Il programma prevede di piantare nuovi semi geneticamente modificati che permetteranno alla pianta di assorbire il 10-15% di CO2 in più rispetto ad un albero non modificato. Anche così, però, non si riuscirebbe a compensare l’emissione di gas serra e quindi la nazione ha intrapreso un percorso di ricerca e sviluppo nel campo del CCS (Cattura e stoccaggio del carbonio), un processo che, dopo aver liquefatto l’anidride carbonica la inietta in una trappola geologica dove viene stoccata per centinaia di anni. Tutte proposte che non piacciono alle organizzazioni ambientaliste con cui il governo di Erna Solberg dovrà confrontarsi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento