Noor Riyadh, protagonista la luce
Mostra In Arabia Saudita, «We Dream of New Horizons», II edizione di Noor Riyadh (fino al 19 novembre)
Mostra In Arabia Saudita, «We Dream of New Horizons», II edizione di Noor Riyadh (fino al 19 novembre)
Parole che fluttuano, parole che danzano: «jayyid» (buono), «ghadan» (domani), «hubb» (amore), «qasida» (poesia)… migliaia di parole scritte con la luce bianca nella calligrafia araba che Charles Sandison ha scelto in maniera randomica per la sua opera immersiva The Garden of Light. Alle spalle di Al Kindi Plaza, nel quartiere diplomatico Al Sarafat, la proiezione dell’artista scozzese creata per Noor Riyadh 2022 trasporta in un’oasi di pura armonia.
Cultura, tecnologia e tempo sono i parametri di un orizzonte virtuale che si estende per l’intera città di Riyadh, le cui notti sono di per sé vibranti di migliaia di luci artificiali coloratissime tra insegne luminose e led che illuminano gli edifici più moderni, moltiplicandosi con We Dream of New Horizons, II edizione di Noor Riyadh (fino al 19 novembre). Il festival annuale di arte e luce, accompagnato dal fitto programma di eventi tra talk e laboratori per adulti e bambini, trasforma la capitale saudita in una «galleria senza pareti».
Sono 130 le artiste e gli artisti internazionali di diverse generazioni (tra loro anche Zineb Sedira, Douglas Gordon, Daniah AlSaleh, Bertrand Lavier, Claudia Comte, Abdullah AlOthman, Yann Nguema, Zeinab Alhashemi, Shohei Fujimoto, Quiet Ensemble, Massimo Uberti, Fabio Volpi, Alice Felloni) – selezionati dal team curatoriale di Jumana Ghouth, Hervé Mikaeloff, Dorothy Di Stefano con Miguel Blanco-Carrasco – che hanno elaborato il proprio immaginario personale in un paesaggio architettonico in cui la luce è medium, simbolo e narrativa. Organizzato da «Riyadh Art» con il supporto della «Royal Commission for Riyadh City», questa manifestazione di arte pubblica rientra nell’ambizioso programma di trasformazione economica e sociale Vision 2030, particolarmente attivo in ambito culturale con la creazione di rassegne artistiche quali Desert X AlUla, Wadi AlFann, Diriyah Biennale e Islamic Arts Biennale la cui prima edizione avrà luogo a Jeddah all’inizio del 2023.
Ayyaf Park con Le Ciel Coloré Et Projeté di Daniel Buren, Wadi Namar con Light Horizon di Sabine Marcelis, Al Safarat con Morgana, l’installazione di specchi di Alicja Kwade ed altri quaranta luoghi pubblici diventano, quindi, spazi di condivisione, incontro e scambio per l’intera cittadinanza, senza distinzione sociale e di genere con un’evidente apertura rispetto alla rigidità dei costumi di un passato ancora recente. L’entusiasmo dei bambini che giocano con l’acqua della fontana gonfiabile Cupid’s Koi Garden di Studio Eness a Salam Park (sono tantissime le famiglie che fanno pic-nic serali per godersi il fresco) non è meno travolgente di quello degli adulti che puntano lo sguardo verso l’alto, a King Abdullah Park, per seguire stupiti le forme mutanti di Marc Brickman.
Sembrano giochi pirotecnici, si tratta invece di macchie luminose in 3D create dal movimento di circa 2000 droni sincronizzati con il suono: The order of chaos: chaos in order, come Kaleidoscope (l’altra opera creata da Brickman per Noor Riyadh 2022) è un’esperienza effimera che entra nella vita reale. L’artista, noto per gli spettacolari giochi di luci dei concerti dei Pink Floyd, per la coreografia ha tratto ispirazione dal movimento dei pellicani che vede quotidianamente sulla spiaggia di Malibù, in California, dove vive, insieme a quello «di altri uccelli, dei pesci, delle api… la natura in generale ha sempre in sé l’ordine nel disordine».
Il sound design è un elemento determinante in associazione alla luce: a proposito di musica, se in Italia il governo appena insediato vieta i rave party, in Arabia Saudita dove solo recentemente è stato abrogato il divieto assoluto di organizzare concerti dal vivo, nel deserto alle porte della capitale si balla techno sotto la costellazione artificiale di Axion, live set firmato da Christopher Bauder con il compositore KiNK, a pochi metri dall’installazione Oasis di Arne Quinze. La musica ambient, invece, anima il dopo party inaugurale di Noor Festival 2022 nello studio di Muhannad Shono (artista che rappresenta l’Arabia Saudita alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia) al Jax District dove, per l’occasione, sono visitabili anche altri studi d’artista: Sidra, Raseef e Ahmed Mater, Come nel suo quartier generale a Jeddah, Mater oltre al biliardino e una serie di torchi, presse, proiettori e altri apparecchi d’epoca colleziona strumenti musicali e vecchi giradischi per suonare gli album di Omar Souleyamn (Leh Jani), Mohamed Abdo (Fi Aman Alla) e Oum Kalthoum (Ana Fi Intizarak). Jax 3 è anche sede della mostra From Spark to Spirit (fino al 4 febbraio 2023), curata da Neville Wakefield con la collaborazione di Gaida AlMogren che con il suo percorso indaga tre aspetti della luce in relazione a tecnologia, architettura e consapevolezza, attraverso i lavori di una trentina di artisti, tra cui Maryam Tariq, Saad Al Howede, Refik Anadol, il duo Theories of Imagination. Evocativa nella sua organicità Numinous Najd della giovane artista-designer saudita Huda Al-Aithan che cattura l’essenza della storia e dell’architettura della regione di Ryadh.
«L’architettura di Najd è molto geometrica, squadrata, ma nell’insieme è qualcosa di organico; dati che ho voluto recuperare nella forma stessa dell’opera concepita come un’intersezione di triangoli su triangoli. Questa forma geometrica ricorre come elemento architettonico dal forte significato spirituale e culturale che mi interessa soprattutto per la sua funzionalità di passaggio dell’aria e della luce all’interno delle costruzioni in fango.» La forma sospesa sollecita anche l’idea della trasmissione del passato che secondo l’artista non si pone in antitesi con il progresso.
In un altro quartiere centrale, Muhannad Shono ha realizzato I see you brightest in the dark (la musica è di FaceSoul), l’installazione più emozionante dell’intera rassegna che si sviluppa sui tre piani di Bait Al Malaz unendo simbolicamente il seminterrato con la terrazza attraverso i fili di un telaio che sono in parte di luce. Un’opera monumentale che, giocando su un ossimoro, è anche anti-monumentale perché esprime con una freschezza poetica di rara intensità un viaggio interiore «attraverso la perdita, la devozione e la resa.»
Procedendo dall’oscurità in basso, ogni piano si trasforma in un passaggio della narrazione in cui i rocchetti di filo e le storie diventano un archivio di ricordi dove la presenza del telaio (al terzo piano) è «il tentativo di tessere ciò che è stato frammentato, incarnando la fatica esercitata nel futile sforzo di rifare i ricordi, dove alcuni filamenti inevitabilmente si aggrovigliano. Sul tetto, i fili passano sopra, trascesi in un unico pezzo di tessuto intrecciato.» Come afferma lo stesso Shono, «laviamo via il nostro dolore e lo appendiamo in lungo e in largo sopra di noi. Un faro di devozione, una luce che tutti possono vedere.» Aver cura di questi fili implica l’accettazione del ricordo: «Mi manchi quindi ti ho tessuto una veste di fili di luce.» Ma dove si trova veramente l’orizzonte? Sembrano chiedersi le artiste e gli artisti: Ayman Yossri Daydban nell’installazione al neon con la scritta in arabo If God willing all we be resolved isola il sottotitolo di un film, com’è nella sua pratica artistica, per attivare la tensione tra immagine e testo creando un cortocircuito di nuove interpretazioni.
Analogamente, nel futuristico King Abdullah Financial District (KAFD), Joël Andrianomearisoa in On a never ending horizon a future nostalgia to keep the present alive parte da un suo testo letterario. «Ho deciso di scrivere una poesia dedicata a Riyadh sulla sua temporalità, sui desideri e sul concetto di nuova visione urbana dove la parola orizzonte associata alla luce si riferisce alle possibilità senza limiti di quest’area geografica, tanto più in questo distretto proiettato nel futuro. Ma c’è anche una certa nostalgia del presente.», afferma l’artista malgascio. «Anche il font è parte della scultura, quanto alla scritta al neon, ho voluto realizzarla in Arabia Saudita non al led, ma in maniera tradizionale con il vetro soffiato. Mi piaceva l’idea, forse romantica, che l’opera contenesse anche il respiro della gente del posto legata ad un messaggio di speranza».
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