«Non vogliono le Ong davanti alla Libia»
Riccardo Gatti, Proactiva Open Arms «Siamo testimoni scomodi di quello che accade nel paese nordafricano»
Riccardo Gatti, Proactiva Open Arms «Siamo testimoni scomodi di quello che accade nel paese nordafricano»
«Ci vogliono cacciare da quelle acque, toglierci di mezzo come testimoni scomodi di ciò che succede in Libia, l’ho intuito non appena è scoppiata questa campagna denigratoria e ogni giorno ne sono più convinto perché nonostante le smentite la campagna continua». Riccardo Gatti italiano trapiantato a Barcellona, è capo missione dell’ong spagnola Proactiva OpenArms nelle operazioni di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo centrale e comandante del motovascello Astral. Accetta di parlare faccia a faccia dal festival Sabir dopo aver rifiutato altre interviste con altre testate arrivate all’indomani della sua audizione davanti alla commissione Difesa del Senato. ProactivaOpenArms è nata dall’indignazione di due bagnini spagnoli per la foto del corpicino senza vita di Aylan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, nel 2015, cresciuta con donazioni piccole e grandi come quelle dell’allenatore Pepe Guardiola e ora che si è trasferita dall’Egeo al Mediterraneo è stata la prima ong a finire nell’occhio del ciclone delle polemiche, quella contro cui è stato puntato il dito perché si spinge a ridosso delle acque territoriali libiche per arrivare prima sul luogo dei naufragi dei gommoni stracarichi e spesso semi sgonfi già dalla partenza.
Procure e senatori nelle loro inchieste le hanno mai fatto domande circostanziate su specifici salvataggi?
No, sempre domande generali.
Vorrei chiedere cosa è successo il 12 ottobre 2016, perché mi risulta che i primi a dare il via a questa campagna contro le ong sulla base di quel salvataggio siano stati i blogger del sito olandese Gefira che adotta il teorema della «sostituzione etnica degli europei» attraverso «l’invasione dall’Africa».
Ricordo tutto di quella notte, è stato uno dei salvataggi più rischiosi in cui mi sono trovato. C’era il mare grosso, forza quattro, forse persino di più, onde altre due-tre metri, vento a quasi trenta nodi e un gommone già forato con gente a mare in acque libiche. Tutte le condizioni peggiori. Ci è arrivata la chiamata per richiesta di intervento da Roma, dal centro di coordinamento della Guardia costiera, che ha scelto la Phoenix del Moas come nave di coordinamento delle operazioni nella zona. La Phoenix ha un drone, che è partito e ha avvistato i naufraghi, abbiamo comunicato alla Guardia costiera di Tripoli che stavamo per entrare nelle loro acque per effettuare il soccorso. I primi ad arrivare siamo stati noi della Astral e i tedeschi della Juventa di Jugend Rettet, a seguire sono arrivate la Phoenix e la Golfo Azzurro dove so che c’era una giornalista olandese a bordo. Eravamo a sette miglia dalla costa libica, una fiancata del gommone era squarciata, tra le onde, ma lo abbiamo saputo solo alla fine, c’erano anche una ragazzina di 16 anni e una neonata, che sono state inghiottite. Quando sei lì tutto è questione di attimi, è sempre sorprendente la velocità con cui si affonda in mare. Le nostre lance veloci, le Rhib (rigid hull inflatable boat), hanno portato su 113 naufraghi ma ci hanno poi detto che erano partiti in 130, quindi 17 persone mancavano all’appello, siamo rimasti in zona a cercarli ma non li abbiamo trovati.
E di tutta questa storia tragica l’unica cosa che è stata rimarcata, anche da giornali di destra italiani che hanno ripreso i video di Donadel e di Gefira, è che siete entrati in acque libiche e che i trafficanti vi avrebbero chiamato perché la giornalista ha detto una cosa del genere, tutta euforica.
Così pare. Come se ci fosse tanta differenza in mare tra 11 miglia e mezzo e 12 dalla costa in caso di emergenza. Come se poi fosse proibito entrare in acque libiche per salvare vite, come se avessimo bisogno di sotterfugi per farlo. Con la Astral siamo entrati in acque libiche tre volte, ma non per sport. Siamo obbligati dalle leggi internazionali sul salvataggio in mare e anche dal codice penale italiano. In caso di morti per mancato soccorso un comandante rischia dai tre agli otto anni di carcere.
Quando entrate in acque libiche? Come funziona?
Non è che la Guardia costiera libica ti dia una autorizzazione formale, non avrebbe senso data l’urgenza. E neanche si chiede. Si informa Tripoli e si comunica il nome della nave che sta entrando per operare il soccorso.
Perché definisce «grave» l’episodio che tre giorni fa ha coinvolto una nave dell’omg Sea Watch?
Perché dal video postato la motovedetta libica, una di quelle donate dall’Italia, ha fatto una manovra che dire azzardata è poco, a livello nautico: non segue neanche le basilari norme di precedenza visto che per mare come in auto la precedenza va da destra. Ma è tanto più grave perché proprio quel giorno la Guardia costiera di Tripoli, in prima assoluta, coordinava le navi nei soccorsi. C’erano circa 300 persone nel barcone di legno in avaria, due navi per prenderli sarebbero state certamente meglio di una, se l’obiettivo resta quello di salvare vite umane.
Cosa si può prevedere che succederà in quel tratto di mare nei prossimi mesi estivi?
Mi sembra che continuino a cercare di allontanarci da quell’area, probabilmente vogliono che a dirigere le operazioni ci sia la Guardia costiera di Tripoli, non solo entro le 12 miglia ma anche nella zona contigua fino alle 24 miglia dove resta una competenza territoriale dello stato rivierasco.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento