Visioni

Non solo glamour. Gli anni d’oro della disco music

Non solo glamour. Gli anni d’oro della disco music

Dance floor 70 Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano sono gli autori di un libro dedicato al sound in 4/4 e alle vicende storico politiche del genere. «In Italia la disco era sinonimo di superficialità: è stata negata l’origine di un genere adottato da afroamericani, portoricani, omosessuali, comunità discriminate»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 6 ottobre 2019

Primo piano sparatissimo su Donna Summer in copertina. È il numero del 2 aprile 1979 di Newsweek che titolava a caratteri cubitali «Disco takes over» (la disco prende il sopravvento). E non era un esagerazione: nel suo quinquennio d’oro il genere dal ritmo in 4/4 era al vertice di ogni classifica e anche le rockstar erano in qualche modo costrette a farne i conti. Ecco gli Stones sintonizzati con il sound del groundfloor in Miss You, i Kiss dalle maschere multicolori battere il ritmo sull’incedere disco di I was made for lovin’ you, ricavandone il loro maggiore successo di sempre. 40 anni fa la disco raggiungeva il suo apice, tre mesi dopo una parte dell’establishment musicale cercò di farla fuori riuscendoci solo in parte, perché la disco a quel punto non era più solo un fenomeno ma uno stile che si sarebbe semplicemente aggiornato con i tempi. A raccontare quegli anni – e gli annessi contesti socio politici – un corposo volume La storia della disco music (Hoepli, 480 pp, euro 29,90, presentazione a Roma l’11 ottobre ore 18.30 alla Feltrinelli Red, via Tomacelli, 23). Racconti, aneddoti, citazioni ma soprattutto una narrazione che dalle radici afro, soul, funk, r’&’b porta alle contaminazioni elettroniche tedesche e all’Eurodisco, insieme alle vicende dei club che celebrano il rito del sabato sera: Studio 54, The Loft, Paradise, Garage. «Volevamo – spiega Andrea Angeli Bufalini che insieme a Giovanni Savastano ha curato il libro – raccontare un genere che è sempre stato definito da hit usa e getta. Invece esistono diecimila derivazioni e contaminazioni tra stili tutti diversi tra loro».

Nella prefazione affidata a due disco dive dell’epoca – Gloria Gaynor e Amii Stewart – ricorre il termine «musica felice». In realtà gli anni della disco nascono in contesti – sociali e politici – di profonda crisi: negli Stati uniti ancora storditi dall’onda del Vietnam e dalle difficoltà economiche, e l’Italia stretta negli anni di piombo… Un’atmosfera resa bene nella «Febbre del sabato sera» che in Italia è stata solo recepita sull’onda del glamour e del travoltismo…

Ne è stato alterato il senso: da noi l’amante della disco era etichettato come un borghese di ricca famiglia, superficiale. È stata negata quella parte di problematiche, tensioni sociali e di emarginazione che è all’origine della disco: un genere adottato da afroamericani, portoricani, omosessuali, comunità discriminate da sempre. Senza dimenticare che la disco è una musica che ha molto attecchito fra le donne, ed è uno dei primi generi che ha fatto uscire la parte più femminile legata alla musica, al ballo.

La sexy «Love to love you baby» di Donna Summer in molti ambiti è stata recepita con una modalità diversa: lo sfruttamento del corpo, l’oscenità, la donna mercificata…

In realtà il contesto è completamente opposto: nel pezzo di Moroder la donna diventa soggetto e prende consapevolezza di sé. In Italia ha avuto tutti contro: le femministe, la sinistra, la destra. Così come per l’intera disco: la sinistra che l’ha fascistizzata negando proprio quelle radici legate all’emarginazione e al successivo riscatto sociale delle comunità di primo riferimento, la dc si scandalizzava per il lato proibito e torbido delle discoteche, così come il Vaticano. E poi c’era la destra che teoricamente aveva accolto questa musica però di fatto non ne riconosceva l’origine di emarginazione e di isolamento.

La disco è adottata anche dai movimenti omosessuali. Emergono personaggi dichiaratamente gay, come Sylvester…

Dj Mancuso (uno dei primi dj di New York, il fondatore di The Loft, ndr) faceva feste e gli ospiti dei suoi party provenivano dalla comunità gay che per la prima volta si ritrovavano in un contesto dove erano accettati. In particolare in America la discoteca è stato un trampolino essenziale per l’accettazione sociale del movimento.

La disco in Europa è soprattutto la scuola tedesca: Moroder ma non solo. Frank Farian e i Boney M, Sylvester Levay e il trio femminile delle Silver Convention. E poi l’Italia con le produzioni sofisticate di Malavasi e i La Bionda, Claudio Simonetti e gli Easy Going…

L’affermazione della disco teutonica è stata un bene per l’intero genere che si è rapportato, con intelligenza, con l’elettronica. Ma questa dicotomia non è stata vista di buon occhio dalla comunità afroamericana, i Crown Heights Affair – ad esempio che si erano affermati prima dell’esplosione della disco come una sorta di ponte fra Europa e Stati uniti – stigmatizzavano la disco fatta dai bianchi perché scimmiottava la musica afroamericana. Questo è solo in parte vero, perché Moroder è stato il primo ad ammettere che la fonte della sua ispirazione è stata la musica black. E il connubio ha funzionato, anche perché ha saputo circondarsi da cantanti a cui riconosceva un ruolo definito e non di ghost singer, come nel caso di Frank Farian con i Boney M. Tutti sapevano che le voci in studio e gli artisti sul palco erano diversi, ma non va negato che le loro produzioni erano artisticamente ben fatte. Certo la vicenda delle voci fantasma ha nuociuto e non poco alla disco, che per molti è diventato un genere progettato a tavolino dove il produttore era figura dominante e gli artisti in secondo piano.

«Random access memories» (2013), l’album dei Daft Punk omaggio dichiarato alla disco insignito di Grammy e milioni di copie vendute, ha rimesso le cose a posto, dando finalmente dignità al sound e ai suoi protagonisti, riconosciuto anche dai critici più refrattari…

I Daft Punk sono stati onesti perché hanno preso i caposaldi della disco. Get Lucky è un capolavoro, ma non lo sarebbe stato senza quel riff malandrino di Nile Rodgers. E poi c’è un fatto inconfutabile: la disco non è finita perché è entrata nel dna della musica popolare, arrivando a tutti. Azzardiamo: il rock non possiede questi elementi, ha canzoni e testi, certo, ma la disco possiede una simbologia e una struttura sociale che il rock non ha. Forse il jazz, e non è un caso se parliamo di musica di origine afroamericana.

Il 1979 è stato l’apice e inizio della decadenza della disco music, culminato con l’indecente omofobo e razzista anti disco-rally del 12 luglio 1979 a Chicago quando migliaia di persone al grido di Disco sucks (la disco fa schifo) bruciarono centomila tra lp e 45 giri disco. Cos’era successo, una saturazione del marchio? Vero è che tutti facevano a gara a incidere album disco, perfino Frank Sinatra…

Sì in parte c’è stata una saturazione, ma in realtà la scelta di far morire la disco è stata studiata a tavolino dall’industria discografica con la complicità di molta stampa ’amica’. La disco stava fagocitando tutto, le classifiche e gli stadi erano riempiti non dalle rock star ma da Donna Summer e dagli Chic. Così le major prima che prima negavano il genere definendolo underground, quando il successo si è fatto travolgente hanno capito di stare per perdere gli artisti bianchi che per restare a galla contaminavano i loro album con sonorità disco. E così si è deciso di bloccare questo movimento, per ragioni economiche ma anche politiche e ideologiche: non volevano che il sopravvento lo avessero le minoranze. Se ci pensi: perché la statura di personaggi come Roy Ayers e Isaac Hayes non è stata mai riconosciuta come in realtà avrebbero meritato? E Madonna se fosse stata nera avrebbe forse avuto lo stesso successo?

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento