Non solo anticorpi, servono i dati sull’efficacia
Mix di vaccini Gli studi citati dal Comitato Tecnico Scientifico e dall’Aifa per approvare la scelta del governo mostrano che chi riceve la seconda dose con un vaccino diverso dalla prima sviluppa un buon numero di anticorpi. Ma, come insegna il caso CureVac, questo non basta a garantire automaticamente la protezione dalla malattia
Mix di vaccini Gli studi citati dal Comitato Tecnico Scientifico e dall’Aifa per approvare la scelta del governo mostrano che chi riceve la seconda dose con un vaccino diverso dalla prima sviluppa un buon numero di anticorpi. Ma, come insegna il caso CureVac, questo non basta a garantire automaticamente la protezione dalla malattia
L’ampio dibattito scientifico intorno al mix di vaccini AstraZeneca e Pfizer/Moderna è dovuto ad un’apparente contraddizione. Da un lato, il ministero e l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), come diversi altri governi europei, ritengono che vi siano sufficienti evidenze scientifiche che il mix dia vita a una robusta e sicura risposta immunitaria. Dall’altro, i critici come il presidente del Gimbe Nino Cartabellotta sostengono che «ad oggi non esistono prove di efficacia della vaccinazione eterologa su Covid-19». Il problema è che hanno ragione tutti e due.
Gli studi citati dal Comitato Tecnico Scientifico e dall’Aifa per approvare la scelta del governo effettivamente mostrano che chi riceve il mix vaccinale sviluppa un buon numero di anticorpi.
Si tratta di test condotti su circa 800 persone, seguite per un tempo relativamente breve.
Però gli altri vaccini autorizzati hanno dovuto superare anche test di efficacia in cui non si misurano gli anticorpi ma quante persone si ammalano (il dato che interessa davvero). Questi studi di “fase 3”, necessari per l’approvazione di qualunque vaccino, coinvolgono decine di migliaia di volontari, seguiti per molti mesi. La fase 3 permette di rilevare le reazioni avverse rare (ma non rarissime, come insegna la vicenda delle trombosi associate al vaccino AstraZeneca). E consente di differenziare l’impatto dei vaccini per genere, classe di età, etnia. Sono studi molto complicati dal punto di vista organizzativo. Però sono necessari, perché la presenza degli anticorpi non corrisponde automaticamente alla protezione dalla malattia.
La vicenda del vaccino CureVac, di cui ieri sono stati comunicati i risultati deludenti nei trial di fase 3, lo dimostra. Il vaccino tedesco aveva superato brillantemente i test di fase 2, quelli in cui si valuta la quantità di anticorpi stimolata nei volontari vaccinati. Ma nella fase 3 si è fermato sotto la soglia minima di efficacia necessaria per l’approvazione. Sul perché, i ricercatori si interrogheranno a lungo, visto che il vaccino CureVac assomiglia molto a quelli Pfizer e Moderna. Il sistema immunitario stimolato da un vaccino è molto complesso e gli anticorpi sono solo una delle componenti di un organizzato sistema di difesa dalle malattie. Ne conosciamo molti dettagli, ma non abbastanza da poter fare previsioni quantitative solo a partire dai dati di laboratorio. Ma che i risultati della fase 3 non coincidano con la fase 2 non è una sorpresa: succede per un terzo dei vaccini contro malattie più conosciute e contro il Covid il tasso di insuccesso è probabilmente superiore.
Nel caso del mix, tuttavia, i vaccini da combinare si sono già dimostrati protettivi, seppure in condizioni d’uso diverse, e se ne conoscono le reazioni. Inoltre, continuare con i vaccini adenovirali nei giovani avrebbe provocato alcuni effetti gravi, forse anche mortali, che il mix permetterà di evitare. Dunque il mix non è una roulette russa. Ma quale protezione garantisca, oggi non può dirlo nessuno.
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