Politica

«Non mangio più pesce, mio fratello è morto in mare»

«Il sociale visto da SUD sono le madri tunisine che non danno più pesce da mangiare ai loro bambini da quando qualcuno dei fratelli più grandi è partito per Lampedusa […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 17 gennaio 2014

«Il sociale visto da SUD sono le madri tunisine che non danno più pesce da mangiare ai loro bambini da quando qualcuno dei fratelli più grandi è partito per Lampedusa e il suo corpo è sparito in mare. Di cosa si cibano i pesci del Mediterraneo è una domanda che ci riguarda.»

(dal racconto dell’attivista per i diritti umani tunisino Messaoud Romdhani, Napoli, Assemblea nazionale del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza – Cnca-, 22.06.2012).

Si chiudeva così la “Lettera da Lampedusa” scritta lo scorso anno dal Cnca dopo avere visitato il Centro di prima accoglienza, aver incontrato il sindaco, alcuni esponenti delle Ong, il parroco e la popolazione isolana. Proprio dagli attivisti tunisini era arrivato l’invito di spingersi «più a nord» (Tunisi lo è rispetto a Lampedusa) e andare a prendere contatto con l’altra sponda del Mediterraneo, quella da cui molti partono.

E l’incontro a fine estate (16-19 settembre) con una dozzina delle giovani organizzazioni che nella capitale tunisina lavorano sui temi sociali, sanitari e dei diritti ha subito messo in primo piano la questione dei giovani uomini e donne, spesso con bambini, dispersi dopo la loro partenza.

E proprio nei giorni della strage avvenuta nei pressi dell’approdo di Lampedusa ai primi di ottobre (364 morti), il Cnca ha documentato la visita con il documento “Lettera da Tunisi”, che viene presentato in occasione della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato (19 gennaio).

Il testo dà conto degli incontri avuti e delle questioni affrontate in quel viaggio: le difficoltà sociali e il sistema di welfare, ma più in generale le speranze e le contraddizioni di un momento storico particolare per la Tunisia ma anche per tutto il Mediterraneo e il mondo arabo, tra rivoluzioni incompiute e il nuovo ruolo assunto dalla società civile.

«Immagini tu? Prova a immaginare: tuo fratello o tuo figlio parte e non dà più notizie… Non è arrivato? non lo sai, potrebbe essere stato arrestato nello Stato di arrivo (…) guardi immagini alla televisione del luogo in cui potrebbe essere arrivato, per sperare di vederlo. Capisci che non è l’unico a non avere telefonato dopo essere partito. Insieme alle altre famiglie chiedi allora alle autorità di informarsi (…). Ma le autorità non fanno nulla, non chiedono e non ti ascoltano… (…) Sono morti? Sono in carcere? Sono…?Immagini tu?»

Sono le parole di madri, padri e partner di questi giovani inghiottiti dal mare o spariti senza poter dare informazione ai loro cari. Situazioni che chiedono collaborazione puntuale da parte delle autorità tunisine e italiane, situazioni che sono frutto di politiche, costruite con precise scelte e finalità, che creano prima disuguaglianza e poi respingimento.

«Accorciare le distanze, allargare le prospettive» è l’orientamento da assumere a livello europeo «perché l’area mediterranea sia presto baricentro che armonizza le differenze, un crocevia di idee, stili e azioni che umanizza il vivere di tutti».

Nei giorni in cui a Tunisi si vota sulla nuova Carta Costituzionale, il futuro delle speranze avviate tre anni fa con «rivoluzione dei gelsomini» passa attraverso la cura dei beni comuni primari, la tutela dei diritti di donne e uomini in cerca di un domani migliore, il protagonismo di una nuova società civile capace di promuovere il consolidamento tra democrazia e giustizia sociale.

«Il silenzio è l’unica risposta che non possiamo permetterci»

(Giusy Nicolini, sindaco di Linosa e Lampedusa, 20 luglio 2013)

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