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Non frutto di geni bensì del desiderio: l’ultimo Recalcati

Non frutto di geni bensì del desiderio: l’ultimo RecalcatiJulia Krahn, «Mutter», 2009

«Le mani della madre», l'ultimo saggio di Massimo Recalcati per Feltrinelli Iscritta nell’ordine del linguaggio, la maternità analizzata da Recalcati è riconducibile, più che a Lacan, al pensiero di Lévinas

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 19 luglio 2015

Con il suo ultimo libro, Le mani della madre Desiderio, fantasmi ed eredità del materno (Feltrinelli pp. 90, euro 16,00), Massimo Recalcati risponde a una domanda che, come racconta lui stesso, gli è stata sovente rivolta in occasione dei tanti suoi interventi pubblici dedicati al tema. La questione, come è noto, è quella della progressiva «evaporazione del padre» nell’epoca segnata dal dominio incondizionato del «discorso del capitalista». Inevitabile, la domanda non poteva che riguardare il ruolo e la funzione della madre. Se del padre resta infatti poco, quando la compulsione al godimento illimitato prende il posto della Legge, parodiandola e corrompendola, cosa resta, nel nostro tempo, della madre?

Il paesaggio materno descritto dal clinico Recalcati è infatti per lo più desolante.

L’immagine patriarcale della madre votata al sacrificio e alla rinuncia incondizionata, immagine cara alla cultura cattolica, ne risulta scossa. Il suo tramonto segna l’ascesa di madri-coccodrillo che divorano il figlio soffocandolo con un eccesso di cura, un eccesso che è solo il travestimento del godimento perverso e incestuoso; proliferano madri narcisistiche, generate dal ’68 e, soprattutto dal ’77 antiedipico, che alla rappresentazione patriarcale della maternità hanno reagito con un programmatico disinvestimento libidico nei confronti dei figli, vissuti come ostacoli alla loro realizzazione; e ci sono poi le madri perennemente in fuga dalla maternità e le madri-Medee che radicalizzano questa fuga fino alla negazione violenta del figlio in nome dell’assolutezza del proprio desiderio femminile.

Anche il desiderio ipermoderno di una maternità ottenuta fuori tempo massimo o coadiuvata tecnologicamente non ne esce affatto bene. Recalcati mette in luce quanto c’è di oscuramente «proprietario» nel «volere avere un figlio» a tutti i costi, quasi che il tempo, l’attesa e, finanche la frustrazione, non fossero gli elementi strutturanti il desiderio materno.

Eppure, questo libro così duro con la versione ipermoderna della madre (e per niente tenero con la sua versione patriarcale) è anche un tentativo di rendere giustizia alle madri. Il clinico Recalcati cede allora la parola al filosofo: alla fenomenologia della madre ipermoderna subentra una metafisica della maternità: proprio questioni di metafisica sono intrinseche, infatti, alla definizione di «una» madre. Non della madre.

La madre è infatti il fantasma patriarcale che ha ossessionato un tempo ormai fortunatamente tramontato, quando si trattava di esorcizzare il desiderio femminile in quanto ha di irriducibile all’ordine fallocratico. Recalcati non è affatto indulgente con questa operazione, di cui percepisce tutta la violenza.

Una madre è piuttosto ciò che resta della madre, dopo che quel fantasma è stato congedato e dissolto dalla critica moderna. Ma il modello di questa madre residuale è molto antico. Una madre è Maria, la madre di Gesù, che in ogni momento della sua esistenza, dall’annunciazione alla veglia ai piedi della Croce, espone per simboli potentissimi ciò che ogni maternità è: il mistero di una trascendenza assoluta che si coniuga in modo paradossale con una immanenza altrettanto assoluta.

Più che Lacan, è Lévinas a fornire il filo rosso per l’analisi che Recalcati propone della maternità. In Totalità e infinito (del 1961), Emmanuel Lévinas aveva infatti colto nella maternità, che contrapponeva, un po’ moralisticamente, alla frivolezza dell’erotico, il farsi carne di una trascendenza senza ritorno.

Trascendenza significa accoglienza dentro di sé di una alterità inassimilabile: significa donare quello che non si possiede e possedere quello che eccede la nostra capacità di sopportare.

Ora, il desiderio di una madre, quando non è guastato dalle patologie ipermoderne, è – secondo Recalcati – il desiderio di un altro per sempre altro, il desiderio del figlio, appunto. Vale a dire di un essere che si dà solo nell’orizzonte della sua perdita. Il figlio, infatti per definizione, cresce, si allontana, lascia la casa dei genitori. Il figlio desiderato è la presenza di un’assenza. Una madre «sana» lo sa. Sa che la mancanza è l’aroma e la ragione del suo desiderio. Lo sapeva Maria che della maternità è l’icona. Non a caso, un grande tema iconografico della pittura occidentale è stato la raffigurazione di questo sapere inconscio nel volto della Madonna che tiene tra le braccia il suo bambinello. Un compito gravosissimo per il pittore devoto: il volto della Madre di Gesù doveva infatti essere assolutamente sereno e al tempo stesso velato da una malinconia che non doveva contraddire la sua serenità di madre, semmai identificarsi con essa (!)

Il desiderio si fa propriamente umano, scrive Recalcati, nascendo nella distanza e nella distanza preservandosi. Ogni attentato portato alla mancanza, ogni tentativo di riempirla con oggetti feticcio (anche il figlio può diventarlo), è una minaccia al desiderio stesso, una sua perversa rinaturalizzazione.

Per Recalcati la maternità non è un fatto della natura. Di essa animali e piante nulla sanno. Nella natura c’è riproduzione, c’è trasmissione di geni. Il senso della maternità umana è invece sovrannaturale o metafisico. Pertiene all’ordine simbolico e al piano del linguaggio. Per questo Recalcati, nelle pagine forse più intense del suo saggio, lascia trapelare l’idea che la maternità, in quanto faccenda squisitamente umana e spirituale, sia sempre in ultima analisi un’adozione, che consiste in un passo fuori dalla necessità della natura e si risolve in una elezione – in un desiderio –– che si fa (almeno nella stragrande maggioranza dei casi) con i mezzi della riproduzione naturale («il reale del sesso») ma non vi si esaurisce.

Ed è proprio su questo punto che si registra la massima distanza tra l’ipotesi ipercristiana avanzata da Recalcati in questo libro e la bioetica cattolica. Per il bioeticista cattolico, la vita che andrebbe difesa a priori da qualsiasi interferenza umana, si identifica con il principio vitale stesso. Per lui la maternità è sacra perché coincide con la riproduzione sessuata senza residui di sorta. Per quanto questo possa suonare strano, la metafisica cattolica della vita è una metafisica sfrenatamente materialista. Un grumo di cellule è la vita, la funzione riproduttiva è la madre. Di contro una madre, per Recalcati è fenomeno essenzialmente spirituale. Anzi, essa è l’ambito in cui lo spirito si genera dalla natura: trascendenza nell’immanenza. La domanda che si dovrebbe porre a Recalcati – e che, forse, le donne per prime dovrebbero porgli – riguarda allora questa alternativa: spiritualismo giudaico-cristiano / materialismo cattolico.

Ciò che resta della madre, nell’epoca del «discorso del capitalista», si esaurisce in questo dilemma? Non c’è per la madre, per la donna, per il godimento femminile, un’altra interpretazione possibile, che sia immanente e materialistica, senza essere sacrale e ideologica?

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