Roma, quartiere di Ostia, un set a cielo aperto, nelle case dei pescatori abitavano le comparse dei peplum, le spyder degli attori sfrecciavano sul lungomare verso i celebri stabilimenti, su questo litorale finiva la Dolce Vita. Ma qui siamo tra i borgatari con utilitarie che dopo una rapina, certe volte si mettono in moto: Non essere cattivo l’ultimo film di Claudio Caligari scomparso il 26 maggio scorso, terminato appena prima della sua morte, è stato presentato fuori concorso (non si capisce perché).
Lì dove avevamo lasciato i protagonisti di Amore tossico e l’eroina (intesa come droga) degli anni Ottanta ritroviamo alla metà degli anni Novanta altri ritrovati chimici per lo sballo, due amici, le ragazze, gli altri pischelli del gruppo, qualche duro del quartiere e l’ombra oscura dell’Aids.

«Il mare nun lo guardà che te vengono i pensieri» avverte qualcuno, potresti cominciare a pensare e un conto è pensare, un conto agire, che significa per questi ragazzi spacciare pasticche dai nomi innocui (fragolina, playboy, colombina,«braccio de fero»), un po’ di coca, fare rapine insensate o promettere inesistenti televisori al plasma rimediati da un camion. L’obiettivo è «svoltare», una dura lotta contro la vita, proprio come quella che ha sostenuto il regista per realizzare i suoi soli tre film, l’ultimo dei quali è stato il più difficile da portare a termine. Eppure furono un caso anche i suoi documentari a cominciare da Droga che fare nel lontano ’76, quando ancora non era stata spazzata via una intera generazione e più di una, con l’introduzione dell’eroina nel paese con il preciso disegno pilotato per spazzare via i movimenti politici. L’eroina è la materia di Amore tossico (dell’83, ben prima di Trainspotting), dopo tanti anni riesce a realizzare L’odore della notte (’98) scelto dalla Settimana della critica a Venezia, poi dovrà aspettare altri diciassette anni per poter realizzare il suo ultimo film, e senza il sostegno di Valerio Mastandrea qui nella veste di produttore dopo essere stato protagonista con Giallini nel film precedente («mi sono vestito bene e sono andato a cercare soldi per il film alle porte dell’Inferno»), non sarebbe neanche riuscito a realizzarlo.                                                                                          

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L’abilità di Caligari sta nell’accogliere fraternamente, senza porre distanze, i personaggi, la materia dei suoi racconti, utilizzare lo slang senza aggiungervi riferimenti letterari, ma esaltarli nel loro secco impatto sferzante, pesantemente umoristico. Dittoghi al vento, dattili e spondei tragicomici del dialetto («Ciao Cé, ciao Vittò» oppure: «daje a spigne», «aripijate», «dovemo svortà»). Certo difficile da tradurre, i critici stranieri rimangono perplessi, non colgono l’abisso in cui si trovano i protagonisti, con la mamma che cucina e le scarpe alla moda, le «villette vicino al mare».
Caligari compone una armonia di gesti perfettamente sincrona alla musicalità del linguaggio, pone al centro una storia di amicizia tra due giovani, Vittorio e Cesare, che si conoscono da bambini, sparvieri della costa (sono interpretati dai bravissimi Luca Marinelli e Alessandro Borghi con le partner altrettanto convincenti Silvia D’Amico, Roberta Mattei), spinge sugli elementi umoristici e paradossali nel grande disastro delle loro vite così difficili da condurre.

ùUno dei due che ha trovato la donna giusta lascia perdere le droghe e va a lavorare in cantiere, non facile neanche quello (all’epoca gli operai polacchi appena arrivati dal post comunismo erano a Ostia la maggioranza), guardato con stupore dalla banda di amici («quello va a lavorà, non è normale»). Caligari immaginava il film come la terza parte di una ideale trilogia iniziata con Accattone e seguita da Amore tossico: cosa succede ad Accattone se a un certo punto decide di andare a lavorare?
L’altro amico invece precipita sempre di più. Una caduta inesorabile, segnata, riscattata dai suoi gesti inconsulti, improvvise mattane, slanci di affetto e iniziative per lo più balzane. L’elemento patetico, il melodramma è appena sfiorato e subito si sovrappone un gesto picaresco, una situazione inaspettata, una battuta a smorzare. La citazione dei film amati dal regista è nascosta tra le scene in modo da non diventare dilagante.

Si sceglie il ’95 come anno di passaggio, tra l’epoca dell’eroina e quella delle droghe sintetiche e poi nuovamente l’eroina, in una zona periferica dove sembrerebbe impossibile non essere «cattivi», con quella dello spaccio come forma organizzata e capillare di commercio clandestino con tutte le sue ramificazioni. «È anche il fallimento dell’ideologia del lavoro, spiega Francesca Serafini (che con Giordano Meacci ha scritto la sceneggiatura): il lavoro era uno dei punti di partenza del film. In questo suo terzo film Accattone prova a lavorare, ma se fai il manovale in borgata i soldi non bastano per vivere, l’unico modo è essere cattivo. Caligari fa perdere ai suoi personaggi parte del candore raccontato da Pasolini». Non essere cattivo esce oggi in 150 sale.