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Non è un Paese per piccoli

Non è un Paese per piccoli

Habemus Corpus Avrei molto da ridire su quel «Dio, patria e famiglia» tanto caro alle destre, perché dipende da come interpreti Dio, dal senso, o doppio senso, con cui si intende la patria, dall’idea che si ha di famiglia che può essere felice o un inferno, dipende da un sacco di variabili.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 26 settembre 2023

Avrei molto da ridire su quel «Dio, patria e famiglia» tanto caro alle destre, perché dipende da come interpreti Dio, dal senso, o doppio senso, con cui si intende la patria, dall’idea che si ha di famiglia che può essere felice o un inferno, dipende da un sacco di variabili.
Accanto a questa propaganda c’è quella della natalità. Gli italiani, o meglio le italiane perché fino a prova contraria sono ancora e solo le donne a partorire, fanno sempre meno bambini. Se, dati Istat, nel 2019 erano nati 420.084 pargoli (contro 634.417 morti), nel 2022 i neonati sono stati 392.598 a fronte di 713.499 decessi. Il 2023 si mantiene su quella media calante, meno 0,3% ogni anno.

LE RAGIONI per cui i giovani in Italia si riproducono sempre meno sono varie e complesse, non ultima quella che le donne non vedono nella maternità l’unica via di realizzazione di sé. Tuttavia ci sono quelle che i figli li farebbero con maggior slancio se le condizioni fossero più favorevoli.
Tralasciamo la discriminazione fra chi ha un lavoro a tempo indeterminato e chi è precaria (le prime conservano il posto, le seconde non sono garantite), soprassediamo, per il momento, sul congedo paternità che in Italia è di soli dieci giorni entro i primi cinque mesi, come se allevare i figli fosse sempre e solo questione da donne. Scaduti i cinque mesi di astensione obbligatoria dal lavoro si presenta la grande domanda: «E adesso il figlio dove lo metto?»
In un Paese che ha davvero a cuore le nascite e il lavoro femminile dovrebbero esistere asili nido pubblici per tutti, perché non tutti hanno nonni o parenti in salute e a disposizione, e poi perché ai bambini fa bene stare con altri bambini. Con meno di 400mila nascite all’anno non dovrebbe essere il grattacapo dei grattacapi provvedere a questa esigenza e invece, da che ricordo io, madre di un quasi 34enne, se ne discute da allora, tant’è che ancora oggi meno di 15 bambini su 100 trovano posto in un asilo finanziato dai Comuni. Nel frattempo, per ovviare alla domanda, sono nati tanti asili privati che ovviamente si fanno pagare.
In un’inchiesta del 2022, Altroconsumo ha verificato i costi dei nidi privati in otto città stabilendo che in media la retta pesa sul bilancio familiare per un quinto del reddito, che sempre in media per una famiglia italiana è poco superiore a 31mila euro l’anno. Tutto questo per un solo bambino, figurarsi se diventano due.

IO NON SONO una fan del figlio a tutti i costi e non sono nemmeno preoccupata per il calo di nascite italiane, visto che al mondo siamo ormai otto miliardi e, quindi, questa diminuzione sarebbe rapidamente colmabile gestendo i flussi migratori in modo umano, previdente e senza isterismi. Le identità sono fluide, il mondo è fluido, l’homo sapiens sapiens viene da flussi e incroci intercontinentali e non sarà certo «Dio, patria e famiglia» a fermarne il percorso.
Detto ciò, bisognerebbe decidere che cosa si vuol fare in concreto per i bambini che già esistono, cominciando magari con aumentare non solo gli asili, ma anche i congedi parentali per i padri, come in Svezia, dove i genitori hanno diritto a 480 giorni pagati, 90 per ciascun genitore e gli altri da dividere fra i due. E così facendo magari si riuscirebbe a distribuire in modo più equo quel 74 per cento del lavoro di cura che pesa ancora sulle donne, e non è retribuito, ovvero pulire, lavare, stendere, stirare, fare la spesa, cucinare, rigovernare, cambiare i pannolini e via dicendo. Senza tutto ciò, lo slogan «Fate più figli» resta quello che è, vacua propaganda di una politica che in realtà non ama i suoi neo cittadini.

mariangela.mianiti@gmail.com

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