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Non è dittatura ma inquieta

Costituzione Sbarazzandosi della formula della deriva autoritaria, Sabino Cassese non sembra aver risposto agli interrogativi profondi che il cantiere delle riforme ha suscitato

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 14 febbraio 2015

È agevole sbarazzarsi di una formula, per sua struttura fragile, come quella della deriva autoritaria. E però, dopo aver smontato una espressione di battaglia gracile analiticamente, Sabino Cassese (sul Corriere della Sera del 12 febbraio) non sembra aver risposto agli interrogativi più profondi che il cantiere delle riforme ha suscitato. Non ci sono colpi di Stato, sedizioni e rotture della legalità in vista. E questo rilievo scontato però non dà il giusto referto sul reale stato di salute della democrazia.

Dopotutto, neanche le sospensioni (quelle vere) dell’ordinamento liberale ebbero bisogno di grandi cesure formali. Sul piano della forma, nessuno ha mai cancellato lo Statuto Albertino. Ma oggi, che non sono in alcun modo in gioco rotture della continuità costituzionale, il mantenimento della forma coincide con l’imposizione di curvature che ne alterano visibilmente la sostanza.

E’ vero che la Costituzione non vieta che a Palazzo Chigi possa entrare un politico non di estrazione parlamentare. E però la mancanza di un impedimento normativo non esime dal domandarsi se il ricorso, come capi di governo, a tre personalità non elette in vent’anni sia indice di una condizione ottimale del sistema istituzionale. In altre democrazie europee non si riscontrano normalmente questi appalti del potere a figure maturate al di fuori della vicenda parlamentare.

Che poi proprio un leader non eletto si dedichi ad impiantare una inedita figura di governo costituente (che dirige le operazioni di riforma delle istituzioni secondo un crono programma, con sedute fiume, canguri e agita di continuo la minaccia dello scioglimento anticipato in caso di voto in aula dissimile da quello sollecitato dall’esecutivo) non graffia alcuna forma ma taluni problemi li solleva comunque. Nessuna regola è stata infranta, però è un campanello d’allarme il fatto che il capo dello Stato appena eletto risulti designato da partiti che nel loro complesso non superano il 38 per cento dei voti. Nessuna “incidenza” o violazione della carta, sicuro, ma è proprio questo il senso delle clausole costituzionali in merito ai modi dell’elezione del capo dello Stato e riguardo alle delicate funzioni di garanzia del Quirinale?

Il fatto che niente si muova che autorizzi a coltivare il complesso del tiranno, rassicura Cassese. Il suo è un rigido schema diadico: o un truce tiranno alle porte o la bella quiete costituzionale assicurata. Esistono però graduazioni nella vicenda politica che non vengono considerate. Non è solo il governo autoritario che, con le sue «azioni e cospirazioni», allarma in uno Stato costituzionale di diritto. Bisogna valutare anche altre malformazioni del sistema. Altrimenti si coltiva una visione troppo angusta della nozione di costituzionalismo, fermo alla polarità tra una cospirazione in salsa carbonara e un principio di legalità calpestato da “sacche di ribellismo”.

I contropoteri sulla carta esistono ma se, come è appena accaduto per il Colle, sono appannaggio di una minoranza che, incamerando il cospicuo premio di seggi, li conquista, la loro incidenza operativa nel controllo di autorità sfuma progressivamente. E se poi i contropoteri distribuiti nel territorio permangono, ma con il ricorso a elezioni di secondo grado restano privi della legittimazione popolare c’è una contrazione democratica. Ci sono organi di valenza costituzionale, nei quali cioè si articola la repubblica, come le province, o ambiti della rappresentanza come il senato, che sono stati sottratti alla sovranità popolare. E questo non è una diminuzione rilevante della sostanza del principio democratico?

Ha certo ragione Cassese nel dire che la democrazia, nonostante lo spirito di fazione, è da ritenersi fuori pericolo. E che esiste un rassicurante patriottismo costituzionale. E però reiterati presidenti del consiglio non parlamentari, premi di maggioranza abnormi, poteri non più elettivi, diminuiscono sensibilmente la qualità della democrazia. Altre sfide insidiano oggi il costituzionalismo, non quelle del tiranno in marcia. Il nodo cruciale che Cassese trascende, preferisce stigmatizzare chi ancora inclina «a non farsi governare» (ma è il Porcellum che ha richiesto 5 presidenti del consiglio in 8 anni!), è che per via ordinaria (mutamento della sola legge elettorale) si altera ancora una volta la forma di governo con l’elezione diretta del «capo politico».

L’Italicum è una aberrazione perché conserva la parvenza di una consultazione di tipo proporzionale (con una attesa “in entrata” orientata quindi al principio della rappresentanza) ma si converte di soppiatto nel suo opposto, con un unicum su scala mondiale, il ballottaggio di lista (con un esito “in uscita” che indossa la camicia di forza della governabilità, con un bipartitismo meccanico aperto al dominio della minoranza). Con tale metamorfosi che, da una iniziale aspettativa proporzionale, regala poi un artificioso congegno maggioritario, si determina uno squilibrio irragionevole negli effetti del voto e una alterazione nella composizione e nella funzionalità degli organi costituzionali.

Emerge proprio in questo occasionalismo politico, che cuce una legge elettorale sul corpo del vincitore designato, la impotenza del costituzionalismo, che aveva dichiarato illegittima la legge elettorale Calderoli e deve ora vedersela riproposta con una variazione solo marginale. Cassese non deve perciò guardare verso il balcone in attesa che qualche tiranno si affacci di nuovo ad ipnotizzare la folla o in direzione di movimenti sediziosi dal basso, gli basterebbe scrutare il testo della nuova legge elettorale per rimanere sfiorato da una qualche sana inquietudine sulla fabbrica legale di un dispotismo della minoranza.

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