Ci siamo sentiti pochi giorni prima che te ne sei andato via. La tua voce era triste, ma sempre combattente. Mi avevi detto che volevi salutarmi, dirmi un addio. Non ci credevo anche perché soltanto un mese fa mi avevi parlato di questo brutto male che ormai colpisce la nostra generazione, quella dei baby-boomers. Non ci credevo tra l’ altro perché durante l’ estate avevavo parlato a lungo di un eventuale tuo trasferimento con la cara Giamila, la tua compagna in Grecia. Non ci credevo perché non potevi lasciare Chicago. Ci siamo sentiti via Skype e pure questa volta abbiamo parlato a lungo. Abbiamo fatto un lungo resoconto della nostra generazione, dei nostri sogni, dei nostri desideri, delle nostra lunghissima collaborazione con il manifesto, il giornale che amavi e nello stesso tempo criticavi, della lotte politiche dagli anni Settanta agli Ottanta fino ai nostri giorni, ma anche delle battaglie personali, delle nostre vittorie, delle nostre sconfitte.

Tu a Chicago, io ad Atene e a Salonicco. Migliaia di chilometri lontano, ma sentivamo che le nostre vite erano comuni, parallele. E pure i pensieri, le problematiche, le angoscie, le gioie. Discutere con te caro Sergio era sempre un piacere creativo, una boccata d’ossigeno. Cosi com’é con Carlo Tombola, il nostro stretto amico. Era quasi piú il piacere di sentirsi che la ragione di scambiarsi idee.

Sergio ti ho conosciuto tardi, agli inizi del 2000 durante una inchiesta che facevo per un documentario sul traffico internazionale di armi. Eri un vero ricercatore, un «rosso ed esperto». Un appassionato del tuo lavoro, uno studioso dei sistemi strategici internazionali e in particolar modo del traffico di armi, un militante di sinistra, un combattente contro la guerra, un «rompi-scattole» all’establishment politico ed economico, ai signori di guerra, un vero pacifista.
Ti devo dire ancora che sei stato quel tipo di personaggio che difficilmente incontri oggi anche tra la gente di sinistra. Mi ricordo che per te essere di sinistra, oltre le strategie contro il sistema capitalistico e le analisi politiche e sociologiche era questione di moralitá. L’identitá di ciascuno di noi non si stabilisce soltanto in base alle scelte politiche, di partito o di giornale, ma anche per la coerenza manifestata nei confronti di certi valori umani. Per te la solidarietá, l’onestá, la ricerca scientifica e il confrontarsi a livello politico ragionandoci sopra era prassi quotidiana.

Perció propongo un premio annuale per la pace non soltanto in ricordo tuo, ma anche come ereditá, un impegno, un invito per continuare la tua ricerca nel campo degli armamenti.

Un grande, lungo abbraccio da me a da Anna a Giamila, la tua compagna di una vita.