Visioni

«Non ci vede nessuno», i dislivelli sociali rivelati dalla pandemia

«Non ci vede nessuno», i dislivelli sociali rivelati dalla pandemia

Cinema Sulla piattaforma Distribuzioni dal Basso il film del collettivo Officina Multimediale, regia di Maurizio «Gibo» Gibertini

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 29 gennaio 2021

Sono i detenuti, i senza lavoro o senza contratto, i senza casa e i senza assistenza: chi vive vendendo sesso e chi vendendo lavoro a costo basso e diritti inesistenti. Sono quelli che la pandemia e il lockdown hanno messo al tappeto prima e più di ogni altro ma di cui ci si è occupati meno di ogni altro. Sono stati «ristorati» anche loro, spesso ma non sempre. Però con gli avanzi e ponendo con tali e tante condizioni che a moltissimi non sono arrivati neanche quelli. Che esistano, che vivano nelle nostre città lo sanno tutti. Qualche frasetta di circostanza tirata via nei talk show li cita. Nella messe mastodontica di servizi e inchieste dedicati all’età del Covid qualcosina su di loro ci è scappato. Di sfuggita. In fretta e furia.

SONO PROPRIO LORO, quelli di cui nessuno quasi parla, che sfuggono allo sguardo e alle vesti stracciate in tv, i protagonisti di Non ci vede nessuno, l’ultimo e il miglior lavoro del collettivo Officina Multimediale. Lo ha diretto Maurizio «Gibo» Gibertini ma è frutto di un lavoro corale al quale hanno messo mano in egual misura gli autori e i protagonisti del loro film inchiesta: gli invisibili della pandemia ma anche, forse soprattutto, gli operatori delle strutture auto-organizzate che hanno cercato di supplire all’assenza dello Stato. Hanno portato cibo, aiuti di ogni tipo, presenza. Hanno guardato quel che nessuno vuol neppure vedere. Distribuito e quindi reperibile sulla piattaforma Distribuzioni Dal Basso DDB, al link: https://www.openddb.it/film/non-ci-vede-nessuno.

Il film, girato nel corso del primo lockdown ma quasi sempre puntuale anche per la fase attuale, evita accuratamente ogni forma di pietismo compassionevole: cifra insopportabile e melensa comune spesso anche ai più onesti tentativi di denuncia. L’inchiesta restituisce agli invisibili le loro fattezze reali, la loro identità e combattività. Ne fa persone e soggetti sdegnando l’abitudine di ridurli ad anonime figurine bidimensionali, da compatire distrattamente. Poveri certo, però mai «poveracci». Come non si limita a denunciare, così Non ci vede nessuno evita l’esaltazione retorica che riduce a santini chi su quelle realtà è intervenuto concretamente. Ne fa emergere al contrario il tentativo non solo umanitario ma politico di creare reti autonome di sostegno che possano non supplire all’assenza della Stato, invocandone per ciò stesso l’intervento, ma a sostituirlo dal basso, con una solidarietà autonoma capace di provvedere da sola a se stessa. La colonna sonora dovrebbe essere We Take Care of Our Own, di Springsteen: «Noi ci prendiamo cura di noi stessi».

MA IMPLICITAMENTE la panoramica illustrata dal film mette a nudo anche una verità spesso non detta oppure, qualche volta, ammessa ma solo a mezza bocca. La pandemia non è affatto uguale per tutti. Ancor meno «livellante» è il lockdown, sia quello rigido della primavera scorsa sia quello attuale, con le sue sfumature di colore. All’opposto della retorica soprattutto iniziale, il virus e le misure di contrasto hanno marcato, approfondito e a volte tracciato linee di divisione profondissime che non passeranno con l’emergenza sanitaria. Delinea il quadro sociale dei prossimi decenni.
Il Covid 19 ha evidenziato una realtà che non è semplicemente divisa tra chi ha qualcosa, chi ha moltissimo e chi non ha niente ma che è solcata da una quantità di barriere molto più elevate di quanto il senso comune non sapesse: tra chi è garantito e chi non lo è, tra uomini e donne, tra chi lavora e chi ha già sconfinato nello schiavismo, tra dipendenti pubblici e privati, tra operai e impiegati, giovani e vecchi, residenti in appartamenti spaziosi e angusti, tra chi vive nei Paesi e chi nelle città.

ALTRETTANTO rivelatrice è stata la reazione non solo dei media ma dell’allarme pubblico. La didattica a distanza è stata vissuta, con notevole esagerazione, come una tragedia, «il sacrificio di una generazione». La tragedia di chi è precipitato nella miserie non ha mai meritato più di una «breve» a fondo pagina. L’epidemia non è la grande livellatrice. In compenso è la grande rivelatrice di dislivelli sociali mai prima così numerosi e così squilibrati. Il film di Officina Multimediale li ha fatti vedere.

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