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«Non ce la facciamo a reggere», è allarme pronto soccorso

«Non ce la facciamo a reggere», è allarme pronto soccorsoAmbulanze – LaPresse

Presi d’assalto Pazienti parcheggiati nei corridoi, file di ambulanze ferme in attesa. «Situazione drammatica», il grido di aiuto dei medici ospedalieri

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 25 ottobre 2020

Sale d’attesa piene, pazienti letteralmente parcheggiati qua e là nei corridoi, file di ambulanze agli ingressi ferme in attesa che qualcuno decida cosa devono fare. La temutissima e più volte annunciata seconda ondata di coronavirus si sta di nuovo abbattendo sugli ospedali italiani. La prima trincea è quella dei pronto soccorso, con situazioni difficilissime che vengono segnalate in ogni angolo d’Italia. «I reparti Covid sono pieni – dice Salvatore Manca della Società italiana di medicina di emergenza urgenza – e i pronto soccorso stanno diventando un parcheggio per questi pazienti anche per tre-cinque giorni. Stiamo assistendo tutti, ma mancano medici e infermieri. Non ce la facciamo più a reggere». Un grido d’aiuto che non è isolato, prosegue infatti Carlo Palermo dell’Anaao, il principale sindacato dei medici ospedalieri: «L’intero sistema, con questo livello di diffusione del contagio andrà in grande sofferenza nel giro di due o tre settimane. Le difficoltà del pronto soccorso sono un avvertimento. A novembre satureremo i posti nelle terapie intensive».

A GENOVA L’ORDINE degli infermieri chiede al presidente Giovanni Toti un nuovo lockdown e l’assunzione di nuovo personale per le strutture sanitarie di bassa intensità assistenziale, perché non ci si ammala solo di Covid e molte persone hanno bisogno di cure per le altre malattie. La procura di Genova ha aperto un’inchiesta, senza indagati né ipotesi di reato, per fare chiarezza sui motivi che stanno portando alla saturazione dei pronto soccorso di Genova: nel mirino c’è Alisa (l’agenzia ligure della sanità) e la sua organizzazione della fase due del piano sanitario regionale.

IN UMBRIA CENTINAIA di persone hanno protestato accerchiando l’ospedale di Spoleto, tutti uniti da fili di lana per mantenere il distanziamento. La richiesta, qui, è di riaprire il pronto soccorso, chiuso da venerdì mattina perché il personale è stato trasferito all’ospedale Covid. Al Villa Sofia di Palermo è stato registrato un picco di utenza pari al trecento percento della capienza ordinaria, mentre in Toscana sono state vietate le visite ai ricoverati negli ospedali: «Non possiamo rischiare che il virus si trasmetta anche lì», ha detto il presidente Eugenio Giani.

Nelle Marche, dove il numero di contagi è ormai stabilmente superiore a quello di marzo, il Covid hospital di Civitanova Marche costruito da Bertolaso avrebbe dovuto aprire nella giornata di ieri, ma non se ne riparlerà prima della settimana prossima: il motivo è che continuano a esserci difficoltà a reclutare personale, con la richiesta del presidente Francesco Acquaroli di ricevere rinforzi dal ministero della Difesa che sin qui si è rivelata un buco nell’acqua.

A Milano è crisi nera e il silenzio della città vuota viene rotto quasi solo dalle sirene delle ambulanze che corrono per la città, uno spettacolo inquietante che rimanda dritta all’incubo della prima ondata. «I pronto soccorso si riempiono perché mancano le Unità speciali di continuità assistenziale – sostiene Vittorio Agnoletto dell’Osservatorio coronavirus – non si fa prevenzione e controllo sui luoghi di lavoro, i medici di base sono lasciati soli ad occuparsi di migliaia di pazienti. Nell’intera area di Milano ci sono sette Usca e 12-14 medici, nel capoluogo le Usca sono addirittura 2. Inoltre i medici di famiglia, senza saturimetri e altri strumenti, sono abbandonati a se stessi e non possono intervenire sui pazienti a casa che quindi non possono che andare in ospedale. Bisogna intervenire sull’assistenza domiciliare e sui trasporti dando linee guida precise ai medici di base su terapie e su come affrontare l’emergenza. Bisogna reperire autobus dai privati del settore turistico che non li usano. Insomma bisogna ripensare rapidamente la sanità pubblica dopo che si sono persi cinque mesi».

«I PRONTO SOCCORSO italiani – spiega Nicola Pelusi del comitato dei medici specializzandi ‘Chi si cura di te’ – soffrono di un problema storico di definanziamento. Con la pandemia, poi, sono emersi tanti problemi di programmazione. In diverse regioni, ad esempio, è nei pronto soccorso che si fa il tampone e questo, già di per sé, crea code e intasamenti». E ancora: «Il Covid è quello che potremmo definire uno stress test per i pronto soccorso, ma i problemi sono precedenti. Tutti sapevano che se ci fosse stata un’emergenza la situazione si sarebbe fatta drammatica. Sin qui hanno agito con assunzioni straordinarie e richiamando medici in pensioni, cioè andando a spendere addirittura di più rispetto a quanto sarebbe servito per risolvere in maniera seria i problemi della nostra sanità».

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