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Non cadete nella rete dei fool-osofi

Non cadete nella rete dei fool-osofiAllen Jones, Senza titolo, 1976-77

Al lettore italiano entrato in contatto con le diverse versioni del pensiero di Avital Ronell (attraverso le edizioni Shake e del nuovo Melangolo), non può essere sfuggita l’originalità delle sue […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 10 febbraio 2019

Al lettore italiano entrato in contatto con le diverse versioni del pensiero di Avital Ronell (attraverso le edizioni Shake e del nuovo Melangolo), non può essere sfuggita l’originalità delle sue scelte compositive, così anomale e provocatorie, che traducono le erudite divagazioni di questa geniale comparatista sulla tecnocrazia ora in forma di elenco telefonico, ora di spartito musicale ora di patente di guida.

Fra Cixous e Derrida
Il suo modello ibrido di saggio, che racconta la (tele)dipendenza e l’erotismo cibernetico, sbilanciandosi verso la poesia, proietta oltre i confini disciplinari l’eredità della trattatistica trascendentalista di Ralph Waldo Emerson che, da autentica decostruzionista, Ronell riformula riproponendone la miscela di pensiero e écriture, e inserendola in quella che George Landow (anglista di Brown) ha chiamato una linea «ermafrodita»: tendenza peraltro già presente nel femminismo poetico di un’altra importante filosofa trascendentalista, Margaret Fuller.

Sul filo dell’invenzione poetica, Ronell ha incontrato l’eccentrica lezione di due maestri francesi di origini ebraiche ma nati in Algeria – Hélène Cixous e Jacques Derrida – fondatori, con Tzvetan Todorov e Gérard Genette, della rivista Poétique, che raccontava quella Francia plurale e cosmopolita subito tesaurizzata dall’«orecchio invaginato» con cui Ronell ha contribuito a umanizzare e erotizzare la materia filosofica, da lei interpretata come il luogo per eccellenza del conflitto con il potere.

Al suo percorso di disobbedienza critica, Ronell deve la levata di scudi dei propri compagni di strada all’indomani della denuncia per presunte molestie verso un allievo, in seguito alla quale è stata sospesa per un anno dall’insegnamento alla New York University. In questa contingenza, il suo ultimo volume, Complaint. Grievance Among Friends (2018) acquista un che di preveggente: il traduttore francese Vincent Broqua, infatti, lo ha descritto come «una spirale infernale giocata su diversi registri» in cui l’autrice ha esplorato le nuove frontiere tecnologiche dell’erotismo ritrovandosi intrappolata nell’«algoritmo sacrificale» degli indizi di colpevolezza prodotti da sue innocenti effusività, intercettate in rete.

Come ha osservato Žižek, la profonda sensibilità e l’ironia con cui Avital Ronell ha contrastato le nuove pratiche teoriche appiattite sulle categorie sociologiche di classe-genere-razza, a favore di una chiave più centrata sulla propria e l’altrui persona, evocano un’alterità irriducibile all’ordine metafisico, da lei rielaborata a partire dall’underground newyorkese.

Estetica dei margini
Lo stigma che grava sulla condotta e sul linguaggio «impropri» di Ronell va quindi ripensato anche a fronte dell’immaginario punk e new wave che ha ridefinito le categorie sociali, sulla base di una estetica dei margini, fatta di figurazioni informali e di idiomi vernacolari, che trasformano (anche nell’opera di Kathy Acker e di Eileen Myles) il turpiloquio e la provocazione erotica in cifra stilistica. Su questa discorsività scomposta, insieme sottile e sboccata, Ronell ha costruito uno stile postmoderno che è riuscito a conciliare la poesia dei margini con il lavoro del collettivo filosofico Semiotext(e). Recentemente, la galleria «éof» di Parigi e il collettivo di poeti-critici «Double Change» hanno reso un amichevole omaggio a Avital Ronell in una bella lettura condotta col contrappunto del collage esistenzialista di testi e immagini di Suzanne Doppelt, Rien à cette magie.

La denuncia che Ronell ha scagliato contro gli effetti, sulla comunicazione pubblica, dello svilimento subito dalla funzione simbolica del linguaggio e la sua riduzione a un grado zero di «letteralità», riporta alla mente il monito di Vincent Crapanzano in Serving the Word: Literalism in American from the Pulpit to the Bench alla vigilia della sconfitta di Bill Clinton, seguita al caso Lewinsky.

I modi in cui, nella teoria letteraria, il neo-pragmatismo emergente ha fiancheggiato le gogne mediatiche a detrimento del pensiero critico, meriterebbero una attenta riflessione: anche qui, infatti, si mostra l’ennesimo prodotto dello svuotamento della funzione poetica del linguaggio fuori e dentro i luoghi della cultura, tutto a vantaggio di quelle «crude analisi» che, anche nei luoghi deputati alla formazione, hanno chiuso un occhio sulle nuove soglie di foucaultiana sorveglianza. Ad essere presa di mira, la passione talmudica per l’interpretazione che ha distinto (anche in senso garantista) la comunità ebraica per due secoli produttivamente insediata, come ha scritto Grace Paley, «sulla prua di Manhattan». Negli spazi dialogici dell’alterità aperti in quel quartiere di emigrati, Ronell si è sempre mossa con disinvoltura, facendo da anello di congiunzione tra la cultura accademica Ivy-league e il contiguo underground da cui si sono generate le avanguardie e che, attualmente, la gentrificazione e le evacuazioni posteriori all’undici settembre hanno forzosamente disperso.

Nella sua lettura alla «éof», Avital ha evocato l’arte eterodossa di Thomas Pynchon, intonando il ritornello di un pezzo hardcore («Sad But True» dei Metallica) in apparenza banale ma rivelatore di un mixage tra pop e teoresi, che rilancia un progetto lirico di divagazione filosofica tempestato dai segnali delle nostre più giovani generazioni: quelle che hanno annunciato il loro «no future».

Variazioni sull’eros
A fronte di un Web incline a epurazioni sommarie che, come spiega Ronell, «distruggono senza redimere», il poeta-critico ritrova, in modo solitario, la dimensione letteraria che gli è propria, sottraendosi a quello «spazio impoverito» cui Avital Ronell ha ironicamente dedicato un intero trattato (Stupidity, 2008). Davanti al pubblico attento e partecipe della «éof» (sorprendentemente pieno di bambini), Ronell ha ammonito chi attenta all’autorevolezza del filosofo facendone un «fool-osofo», oggetto di scherno; mentre l’intrappolamento telematico assottiglia gli spazi del pensiero critico, a tutto vantaggio di quegli «effetti di realtà» di cui già Ronald Barthes coglieva la vocazione dispotica. A questo uso strettamente funzionale del linguaggio, Ronell contrappone l’estro compositivo delle sue avvincenti variazioni su una materia erotica che, come quella poetica, racchiude aspirazioni utopiche, restituendo alla letteratura «la funzione radicale di riavviare (reboot) il mondo attorno a noi».

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