Nomine Bankitalia, è tregua. Draghi: ma l’oro non si tocca
Economia Panetta sarà direttore generale. Il presidente della Bce Draghi: siamo noi a detenere e gestire le riserve auree
Economia Panetta sarà direttore generale. Il presidente della Bce Draghi: siamo noi a detenere e gestire le riserve auree
La tregua tra governo e Bankitalia sblocca la situazione con una soluzione di compromesso che permette a entrambi i contendenti di non doversi leccare le ferite. A rendere possibile l’organigramma messo a punto dal governatore Visco e presentato ieri sera al Consiglio della Banca centrale è stato il passo indietro del direttore generale Salvatore Rossi, un’uscita di scena che consente ai partiti della maggioranza di rivendicare la «discontinuità» con la gestione precedente. Al suo posto, il secondo per grado in via Nazionale, sarà promosso Fabio Panetta, gradito a Draghi ma anche alla Lega, accettato senza grande entusiasmo da M5S. La nomina sembra essere un passo ulteriore nella marcia di avvicinamento tra il partito di Salvini e la Banca centrale, dopo la discreta opposizione leghista alla commissione d’inchiesta sulle banche invocata dai 5S ma sgradita a Bankitalia, che si ritroverebbe sul banco degli accusati.
VISCO SEGNA UN ALTRO punto con la conferma alla vicedirezione di Lamberto Signorini, nel limbo sin dall’11 febbraio, quando il governo scelse di non sottoscrivere la sua conferma senza però neppure bocciarla apertamente. A completare la squadra, secondo le voci della vigilia, una new entry e un ritorno: la prima è la professoressa Loriana Pellizzon, il secondo è l’attuale ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, la cui nomina sembra essere un ennesimo scacco per i 5S che lo avevano bersagliato come ragioniere, carica che deve lasciare per limiti d’età.
IL CAMBIO DELLA GUARDIA alla Ragioneria generale aprirà certamente una nuova partita al ministero del Tesoro, ma è difficile non cogliere i segnali della crescente influenza di una Lega pronta a mediare e ad accettare compromessi come quello siglato ieri. È su quella postazione che il Carroccio mira a estendere quanto più possibile la propria decisiva influenza. Passerà infatti di lì ponte sul burrone, il tentativo di superare la prossima finanziaria senza rompersi le ossa, e non è affatto detto che i due partiti della maggioranza affrontino la scadenza con obiettivi e interessi conciliabili.
IL PRIMO PASSO in una partita che sarà lunga e difficilissima, la definizione del Def, dovrebbe essere mosso entro il 10 aprile. Potrebbe slittare sino a fine mese e forse, complici le elezioni europee, anche oltre. In ogni caso, già mette le mani avanti il viceministro leghista Garavaglia, «sarà inevitabilmente un Def di passaggio: ci sono troppe variabili ancora incerte, prima fra tutte le elezioni europee». Con stime di crescita allo 0,1% invece che al preventivato 1% e un deficit al 2,4% invece che al 2,04%, il vuoto di potere a Bruxelles è in realtà la sola carta su cui il governo possa puntare.
LA MANOVRA CORRETTIVA, al momento, è esclusa, sostituita dal decreto crescita che verrà portato lunedì al consiglio dei ministri e che dovrebbe tamponare la pressione europea. «Giochiamo in attacco, non in difesa», sintetizza Di Maio. Ma si tratta appunto solo di un tampone. Per evitare una manovra lacrime e sangue, diametralmente opposta alle promesse della maggioranza e del tutto incompatibile con la determinazione della Lega a introdurre la Flat Tax, ci sono solo due strade, come ammette il presidente della commissione Bilancio della Camera Borghi: «Faremo tutto in deficit oppure la Ue riconoscerà che servono nuovi investimenti e li scorporerà dal deficit». Sono strade, entrambe, che presuppongono un terremoto di dimensioni epocali nelle urne europee.
ALTRIMENTI NON È SVANITO il miraggio di ricorrere alle riserve auree di Bankitalia. Interrogato in materia da due europarlamentari, uno leghista e l’altro pentastellato, il presidente della Bce Draghi ha risposto ieri con una lettera nella quale sottolinea che, a norma di Trattati, è la Bce a «detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri». Cancello sbarrato dunque, ma Borghi interpreta le parole di Draghi all’opposto: «Mi ha dato ragione, sia pure a denti stretti. Perché detenere è cosa diversa dalla proprietà». Quanto basta per capire che il gioco, tra Italia e Ue ma anche tra Lega e 5S, si farà davvero duro solo dopo le europee. Ma a quel punto sarà durissimo.
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