Politica

Nomine, acquisti, favori: la destra nel feudo della cultura

Il G7 della cultura in visita al Museo archeologico di Napoli AnsaIl G7 della cultura in visita al Museo archeologico di Napoli – Ansa

Patria e famiglia Il degrado dell’istituzione cui è affidato il patrimonio del paese non è cominciato con Sangiuliano e nemmeno con Sgarbi. Ma i nuovi potenti ci si ritrovano alla perfezione

Pubblicato 16 giorni faEdizione del 27 ottobre 2024

Il degrado del ministero della Cultura – istituzione che dovrebbe tutelare e promuovere il patrimonio del paese, in tutte le sue forme, nell’interesse pubblico – non l’abbiamo scoperto con l’ondata di dimissioni partita a febbraio con la «resa» del sottosegretario Sgarbi.

Neppure il caso Boccia, che ha segnato la fine del ministro Sangiuliano, può considerarsi il culmine delle vergogne di un dicastero scosso nelle ultime settimane dalle dimissioni del capo di gabinetto Spano, nominato dal neo-ministro Giuli il 14 ottobre e durato, appunto, come una meteora.

Proprio le vicende di Spano – accusato anch’egli di conflitto d’interessi per l’assegnazione di un contratto di consulenza al Maxxi in favore del compagno (Marco Carnabuci, con cui si è poi unito civilmente) mentre era segretario generale del museo durante la presidenza di Giuli, hanno tolto il velo alla menzogna di un’azione moralizzatrice del governo di destra. Il cui obiettivo è stato da subito identificato nel sovvertimento dell’egemonia culturale della sinistra, intesa non solo come principi ideologici ma anche come modus operandi. Spano è stato infatti introdotto al Maxxi nel 2022 dall’allora presidente Giovanna Melandri, dopo aver ricoperto il ruolo di direttore dell’Unar, l’ufficio antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio dei ministri durante il governo Gentiloni.

ANCHE IL MILLANTATO spoil system annunciato a più riprese da Sangiuliano (e non si sa fino a che punto interrotto dal feuilleton estivo di sapore berlusconiano) si è rivelato un bluff. L’ex ministro, che aveva puntato sull’uso del patrimonio per alimentare la propaganda nazionalista – frequenti le sue visite al sito archeologico di Pompei, dove in sua assenza si è svolto il G7 della cultura più chiacchierato della Storia – ha sostanzialmente mantenuto attorno a sé i dirigenti scelti dal suo predecessore Franceschini. Alcuni di essi, come Alfonsina Russo e Luigi La Rocca, sono stati addirittura promossi al vertice di due dei quattro dipartimenti (rispettivamente il DiVa-Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale e il DiT- Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio) istituiti con la riorganizzazione del ministero entrata in vigore lo scorso maggio. Una riforma che moltiplica le poltrone e appesantisce la macchina burocratica, senza apportare reali miglioramenti alla gestione delle attività culturali e di un vasto e variegato patrimonio che continua a essere alle mercé di lotte partitiche e interessi privatistici.

Oltre alla controversa nomina dei quindici esperti della commissione Cinema (parzialmente sconfessati da Giuli), un esempio della deriva in cui si trova il MiC è dato dalla gestione dei parchi e dei musei archeologici autonomi, stretti tra le maglie di un carrierismo perverso legato a nomine fiduciarie non basate sulla competenza e da politiche di valorizzazione che esasperano l’aspetto commerciale (entrambi retaggi franceschiniani), generando incassi da reinvestire solo idealmente nella tutela e incrementando invece un giro di affari estraneo alle finalità dei musei. Basti citare, a questo proposito, gli acquisti spericolati di opere d’arte contemporanea al museo delle Civiltà di Roma e lo showroom di Bulgari al museo Nazionale Romano. Quest’ultimo evento, svoltosi lo scorso maggio, ha comportato la chiusura al pubblico per due settimane di intere sezioni del museo: una truffa verso gli ignari visitatori paganti e un probabile danno erariale.

IN TALE CLIMA di anarchia (o di oligarchia) continua a imperversare il direttore generale dei musei Massimo Osanna, nominato da Franceschini nel 2020 dopo essere stato alla guida del Parco archeologico di Pompei (dove era arrivato nel 2014 come «soprintendente speciale» grazie all’appoggio dell’allora ministro Bray), confermato nel settembre del 2023 da Sangiuliano – che gli ha però negato la promozione a capo dipartimento – e ora al servizio del ministro Giuli. La prima uscita pubblica congiunta l’hanno fatta a Francoforte, in occasione della Fiera del libro. Nel padiglione Italia, Osanna aveva infatti organizzato e curato assieme ai suoi amici di lunga data Maria Luisa Catoni e Luigi Gallo la mostra Sotto un cielo antico. Pompei tra passato e presente, con alcuni preziosi reperti conservati al museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Per questo breve ed effimero prestito Osanna non ha dovuto concertarsi con nessuno. Dal novembre del 2023 risulta infatti delegato alla direzione del prestigioso museo napoletano, sebbene qualche mese prima della scadenza del mandato di Paolo Giulierini il «Mann» sia stato promosso tra gli istituti autonomi di «prima fascia» e dovrebbe quindi afferire, per effetto della Riforma, al Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio. Nella prolungata attesa del bando per la scelta del nuovo direttore, Osanna esercita dunque il pieno controllo del «Mann», utile come bacino di risorse per operazioni di immagine o di consolidamento del potere di influenza ottenuto grazie alla presenza di suoi fedelissimi in posti chiave per l’archeologia.

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