Nomi, cose, animali e dittatori
Cultura

Nomi, cose, animali e dittatori

L’Anophtalmus hitleri (il nome fu dato dal collezionista Oskar Scheibel nel ’37, non si sa se con intento elogiativo: è uno scarafaggio cieco dei Balcani)

Scienza I biologi si interrogano sulle regole con cui si definiscono le specie: molte denominazioni esaltano sanguinari tiranni o sono razziste. Spesso l'intento è satirico, ma non sempre. L’Anophtalmus hitleri è a rischio di estinzione perché, secondo diverse inchieste giornalistiche, sarebbe un cimelio per gruppi neonazisti che ne commissionano il bracconaggio

Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 settembre 2023

Aggirandosi per le grotte della Slovenia può capitare di imbattersi in un coleottero di colore rossastro denominato Anophtalmus hitleri.

In Angola è visibile il Kalanchoe salazarii, una pianta grassa che prende il nome dal dittatore portoghese.

La letteratura scientifica riferisce anche di una farfalla denominata Hypopta mussolinii, scoperta in Libia durante la colonizzazione italiana. Sono esempi di denominazioni ufficiali, utilizzate comunemente da zoologi e botanici di tutto il mondo.

Ma è lecito usare il nome di despoti e altri impresentabili per chiamare le specie viventi? Se lo chiede un numero crescente di ricercatori e ricercatrici preoccupati per le discriminazioni insite nei nomi assegnati alle piante e animali, sia quando esaltano tiranni sanguinari che quando prendono ispirazione dall’etnogeografia.

Sullo Zoological Journal of the Linnean Society, l’organo ufficiale dei tassonomisti, il dibattito è in corso da tempo. Ne ha dato conto nell’ultimo numero anche la rivista Science, una delle sedi ufficiali del confronto per la comunità scientifica globale.

Il modo in cui si scelgono i nomi per le nuove specie è sorprendentemente privo di regole e si presta a scherzi e offese. Juan Carlos Gutiérrez-Marco, paleontologo dell’università di Madrid, si è divertito a censire tutti gli usi goliardici della nomenclatura, scoprendo che soprattutto tra le specie estinte ci si è sbizzarriti parecchio.

Non si offenda l’interessato se ai due fossili Perirehaedulus richardsi e Lapisperla keithrichardsi è stato associato il nome del chitarrista dei Rolling Stones: non c’è band o interprete che non abbia ispirato almeno un nome di un trilobite o di un dinosauro. Frequentissimi anche i nomi presi dalla letteratura, dall’arte, del cinema. E, ovviamente, dalla politica.

La pianta grassa Kalanchoe salazarii

BATTEZZARE LE SPECIE è servito sia a compiacere che a deridere i potenti di turno, soprattutto in tempi recenti.

I presidenti statunitensi sono una fonte di ispirazione assicurata: solo a Barack Obama sono state dedicate 12 specie.

Nel 2016, una specie estinta di riccio di mare è stata denominata Tetragramma donaldtrumpi dal biologo William Thompson ed elettore trumpiano.

Non sempre la denominazione è lusinghiera: un animaletto anfibio scoperto nel 2018 è stato chiamato Dermophis donaldtrumpi in quanto di fronte ai cambiamenti ambientali reagisce nascondendosi sotto la sabbia.

Più vernacolare il biologo iraniano-canadese Vazrick Nazari: nel 2017 ha scelto il nome Neopalpa donaldtrumpi per una falena coperta di scaglie giallognole e con organi genitali di dimensioni particolarmente ridotte.

Circola più di un dubbio anche sull’intento elogiativo di Oskar Scheibel, il collezionista che nel 1937 diede il nome del Fuhrer a uno scarafaggio cieco dei balcani.

SE L’INTENTO SATIRICO è quasi sempre esplicito e in un certo senso innocuo, molti nomi ritenuti perfettamente legittimi in epoche passate invece rivelano un’eredità razzista o colonialista di cui oggi si farebbe volentieri a meno.

Nel 2022, la Società Entomologica Americana ha dovuto modificare il nome comune della «falena gitana» – scelto per sottolineare in modo dispregiativo la sua invasività – in «falena spugnosa».

Ma il problema è molto più ampio e richiede più che singoli interventi.

Secondo una stima della Commissione internazionale per la nomenclatura zoologica (l’organo che su proposta degli scienziati assegna i nomi ufficiali), su un milione e mezzo di specie censite il 20% delle denominazioni fa riferimento a personaggi storici e il 10% a luoghi geografici. Quelle discutibili potrebbero essere decine di migliaia.

Il tema è emerso anche durante la pandemia, quando si è trattato di nominare le varianti del coronavirus.

I nomi basati sulla provenienza geografica – la «cinese», la «sudafricana» etc – sono stati abbandonati perché davano adito a stigmatizzazioni nei confronti delle nazionalità coinvolte. Nel 2020 l’Oms ha chiesto di adottare il più neutro alfabeto greco: variante Alfa, Beta, Gamma eccetera.

Ma quando si è arrivati alla Xi, l’omonimia con il presidente cinese ha riproposto il problema dei nomi politicamente orientati. Saggiamente, gli epidemiologi hanno preferito saltarla e passare direttamente alla Omicron.

Per le varianti Covid, la provenienza geografica (la «sudafricana») creava stigmi. Meglio l’alfabeto greco

LE SEMPLICI REGOLE di buon senso seguite finora per nominare le specie non bastano più, ritengono in tanti. È giunto il tempo di darsi norme più rigide e rispettose, anche se questo imponesse di cambiare l’esistente, come avvenuto per la falena spugnosa.

Tra i fautori di questa posizione ci sono i botanici australiani Timothy A. Hammer e Kevin R. Thiele, che hanno sottolineato come un gran numero di fiori dell’Oceania ricevano il nome Hibbertia dallo schiavista inglese George Hibbert. Citano anche il caso del Sudafrica, dove pronunciare l’epiteto dispregiativo «kaffer» usato dai bianchi all’epoca dell’apartheid, è vietato per legge.

Eppure, ricordano i botanici, circa 150 specie contengono nel proprio nome «caffra» – stesso etimo – come sinonimo di «africano». Non sarebbe ora di cambiare?

ALL’INIZIO DEL 2023 la Commissione internazionale per la nomenclatura zoologica (Izcn), dopo un lungo dibattito, ha annunciato una presa di posizione contraria a queste istanze in un editoriale sullo Zoological Journal.

Secondo la Commissione, più che la correttezza politica il requisito di una nomenclatura è la stabilità. Cambiarne le regole oggi rappresenterebbe un danno «perché la biodiversità è sempre più a rischio. Per proteggerla è necessaria una nomenclatura universale e un sistema che minimizza i cambiamenti nelle denominazioni». «Se i nomi delle specie mutassero, si creerebbe un’enorme confusione», ha spiegato a Science Luis Ceríaco, biologo all’università di Porto (Portogallo) e membro della commissione. Sarebbe in discussione la validità delle norme sulla protezione dell’ambiente, ad esempio, in cui sono elencate le specie da tutelare con la loro denominazione scientifica.

È vero anche il contrario: l’Anophtalmus hitleri, per esempio, è a rischio di estinzione perché, secondo diverse inchieste giornalistiche, sarebbe un cimelio apprezzato dai gruppi neonazisti che ne commissionano il bracconaggio proprio a causa del suo nome. Per il momento, ha deciso la Commissione, non cambierà nulla.

Secondo i critici, la stabilità è solo un pretesto. E la posizione dell’Iczn risponde a una cultura dominante mai scomparsa davvero nonostante la globalizzazione della comunità scientifica.

Falena Neopalpa donaldtrumpi

«GLI ORGANISMI internazionali che vigilano sulla nomenclatura biologica, sono composti in stragrande maggioranza da scienziati occidentali, con scarsa rappresentazione delle comunità marginalizzate» ha scritto la paleontologa Anjali Goswami, prima presidente non bianca della sezione londinese della Linnean Society. «Non significa che non siano in grado di valutare se e quanto un nome sia offensivo, ma riflette un problema di fondo che interroga la storia naturale anche oggi: è un campo intrinsecamente globale largamente dominato da scienziati occidentali che prendono decisioni che ricadono su comunità molto più ampie e diversificate».

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