Noi “sovietici” firmatari dell’Appello e i liberali di destre e Confindustria
Perché l'Appello Non porterà bene alla nostra democrazia una Confindustria mai così anti-governativa, e un blocco sociale mai così dotato di una folta schiera politica e mediatica
Perché l'Appello Non porterà bene alla nostra democrazia una Confindustria mai così anti-governativa, e un blocco sociale mai così dotato di una folta schiera politica e mediatica
Cara Direttrice,
il suo giornale ha ospitato la nostra lettera “Basta agguati al governo!” che ha raccolto a tutt’oggi quasi 20.000 firme (ospitata anche da Strisciarossa).
La ragione che ha indotto alcuni di noi a suggerire ad Alfio Mastropaolo di trasformare in una lettera/appello il post da lui scritto sulla sua pagina Fabebook è stata semplice: nella fase più critica e triste vissuta dal nostro paese dopo il fascismo e la Guerra, le opposizioni sono irresponsabili, mosse dal desiderio di far cassa di click trasformando la pandemia in uno spettacolo davanti al tribunale dell’audience.
In termini tecnici si tratta di un fenomeno noto come populismo.
Il Parlamento, che nessuno ha mai chiuso, si è mascherato, per le ovvie necessità sanitarie, e nello stesso tempo ha messo in congelamento tutta la sua attività (che ne è stato, per esempio, del progetto di rimuovere i decreti Salvini?).
Parlamento assente pur se nessuno lo ha chiuso come ha fatto Orbán in Ungheria, ricevendo l’applauso di Salvini e Meloni (che intanto nel loro paese gridavano alla dittatura!).
Parlamento invisibile mentre i leader variamente d’opposizione erano quotidianamente attivissimi sulle scene di altri teatri; facitori di una opposizione pro domo sua.
Ci siamo chiesti, noi firmatari “stalinisti”, “chavisti”, “peronisti”, “statalisti”, “illiberali”, “nord coreani”, “vanesi intellettuali”, che tipo fosse questa opposizione che in tempi di emergenza non sa trovare argomenti e preferisce epiteti e offese, e che, proprio nei giorni precedenti il nostro “famigerato” appello, si mobilita per creare un governo nuovo, con la benedizione di attori economici e mediatici.
A quel punto, più che la solita distruzione del carattere del Presidente del Consiglio, più che i soliti generici lamenti per l’amata Costituzione messa sotto i piedi, si è materializzato un corpo d’armata, pronto a mettersi al comando della gestione delle risorse, che saranno ingenti.
Sparare contro il Governo ha mostrato nel volgere di poche ore la faccia poco nobile della politica al servizio di un progetto che non sembra voglia fare prima e sopratutto il bene del paese.
All’ossessione di visibilità dei soliti leader, si è aggiunta la frenesia di apparecchiare la tavola per un nuovo governo, un governone che nelle intenzioni dei vocianti avrebbe dovuto ridisegnare gli equilibri e le alleanze.
Nel mezzo di una crisi sanitaria epocale, con le bare numerose affastellate sui camion militari, la nostra “opposizione responsabile” si era seduta a tavola aspettando che venissero servite le vivande.
Tutt’altro che divertente, la scena ha messo sotto i riflettori una strategia predatoria – il nuovo presidente di Confindustria, appena insediato, ha sfoderato una vis polemica delle più brutali, una radicale opposizione sociale, non solo al governo ma al paese intero, ai lavoratori che chiedono sussidi, ai milioni di nuovi disoccupati e nuovi poveri che non hanno materialmente di che vivere.
Accusando di “statalismo” e “sovietismo” chi resiste alla logica dell’arraffare quel che si può, che chiede risorse senza voler dare molte garanzie su come saranno impiegati i soldi pubblici – soldi “nostri” non di qualcuno.
E’ straordinario come davanti a questa opposizione pro domo sua il nostro paese non abbia un’opposizione pro domo nostra.
Se poche volte come ora abbiamo visto una Confindustria tanto “anti-governativa”, forse mai come ora assistiamo alla formazione veloce di quel che in gergo si chiama “blocco sociale” dotato di una folta rappresentanza politica e mediatica. Quindi, infiocinare un primo ministro che non ha un partito che lo sostiene è lo sport più facile di questo mondo.
A noi promotori di questo “famigerato” manifesto non interessava far da salvagente al solitario Giuseppe Conte – chi accetta di entrare nell’agone della politica ne accetta anche i grattacapi e gli oneri.
A noi interessava mettere in luce il fatto che l’attacco a Conte fosse un mezzo per un progetto che non porterà bene alla nostra già provata democrazia, e che genererà squilibri sociali enormi tra le classi e tra le aree del paese.
I liberisti o neoliberali non si fanno scrupolo alcuno a prendere i soldi pubblici, crediti a fondo perduto e magari senza controlli nel nome di un abbattimento delle regole vessatorie di una burocrazia borbonica (ma è bastato sollevare il velo di quelle regole vessatorie per vedere fiorire arraffoni e arraffatrici).
Questi neoliberisti detestano il pubblico solo quando il pubblico è mobilitato per i milioni di cittadini che ne hanno bisogno qui e ora, poiché la pandemia ha esaurito i risparmi delle famiglie e falcidiato posti di lavoro, piccole attività commerciali e artigianali.
I neoliberali sono statalisti incalliti e radicali, specialisti nell’estrarre profitto dalle miniere statali. Dove sta l’opposizione a questi progetti, dove stanno le voci di critica a queste idee che senza velo si dicono che faranno gli interessi di pochi o di alcuni invece che, e perfino contro se necessario, quello di tutti?
La lettera non era un invito al bavaglio della critica. Al contrario, voleva essere una esortazione a lasciar cadere l’uso dell’invettiva facile per svolgere un critica politica incalzante e costruttiva delle scelte (o non scelte) di questo governo che, unito nella fase emergenziale, si dimostra diviso e tentenna nel programmare la ripresa: debole con chi ha forza socio-economica e inqualificabilmente arrogante e ingiusto con i deboli, come dimostra il vergognoso teatrino contro la regolarizzazione degli immigrati irregolari (i liberi cittadini che vogliono godere del lavoro servo!) o la cocciuta miopia sui piani europei di aiuto.
Anche nel governo come nell’opposizione c’è chi pensa di sfruttare i problemi del paese pro domo sua. E che cosa ci si può attendere da un’opposizione che si è dimostrata opportunisticamente attenta a favorire gli interessi della propria parte?
Nadia Urbinati è accademica, politologa e una giornalista italiana naturalizzata statunitense. Professoressa di scienze politiche alla Columbia University di New York. Si occupa come ricercatrice del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora per diversi quotidiani nazionali italiani.
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