«Noi Saharawi senza scelta»
Intervista Gli esiti della guerra riaccesa dal Marocco, l’inerzia Onu, la lotta di un popolo intenzionato a difendersi con ogni mezzo. Parla il leader della Rasd e del Fronte Polisario, Brahim Ghali
Intervista Gli esiti della guerra riaccesa dal Marocco, l’inerzia Onu, la lotta di un popolo intenzionato a difendersi con ogni mezzo. Parla il leader della Rasd e del Fronte Polisario, Brahim Ghali
A poco più di un anno dalla ripresa del conflitto tra il Marocco e il Fronte Polisario (legittimo rappresentante del popolo saharawi) e con l’avvio dei primi colloqui del nuovo emissario Onu per il Sahara occidentale, Staffan De Mistura, il manifesto ha intervistato il presidente della Repubblica araba saharawi democratica (Rasd) e segretario generale del Fronte Polisario, Brahim Ghali, riguardo la situazione sul fronte e nei territori occupati.
A un anno dall’escalation militare, perlopiù taciuta dai media occidentali, qual è la situazione attuale del conflitto dal suo punto di vista?
Ci troviamo oggi di fronte a una nuova e pericolosa situazione nella regione. È il risultato di gravi dimenticanze e colpe che si sono accumulate in questi trent’anni dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, il 6 settembre 1991, nell’attuazione dell’accordo Onu/Unione africana accettato dalle due parti in conflitto: Fronte Polisario e Marocco. Un accordo approvato all’unanimità dal Consiglio di sicurezza, relativo alla Missione delle Nazioni unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (Minurso) con un mandato chiaro e a tempo limitato: l’istituzione di elezioni per permettere al popolo saharawi di esercitare il suo legittimo e inalienabile diritto all’autodeterminazione.
In questi trent’anni abbiamo visto il mancato rispetto da parte del Marocco degli accordi presi – grazie anche all’inerzia nel Consiglio di sicurezza causata da alcuni dei suoi membri permanenti (il riferimento è alla Francia, ndr) – e il continuo tentativo di imporre l’occupazione illegale con la violenza e la repressione. L’ultima violazione di Rabat è stata l’irruzione dei suoi militari contro pacifici manifestanti a Guerguerat e la conseguente interruzione del cessate il fuoco, il13 novembre 2020, nel silenzio dell’Onu e della comunità internazionale.
Con quella violenza il regime marocchino non solo ha riacceso una guerra con conseguenze disastrose per la sicurezza e la stabilità in tutta la regione, ma ha anche minato il processo di pace delle Nazioni unite nel Sahara occidentale, attraverso alleanze con potenze straniere (il riferimento in questo caso è a Israele, ndr) nell’ottica di una corsa al riarmo con moderni mezzi di distruzione e uccisione.
Nonostante l’utilizzo di artiglieria, aviazione e droni da parte del Marocco, l’Esercito popolare di liberazione del Sahara (Elps) continua a impegnare le forze marocchine lungo il “muro della vergogna”, Rabat continua a nascondere l’attuale stato della guerra e le difficoltà delle sue forze armate.
Si può parlare di responsabilità anche vostre nell’arrivare alla situazione attuale?
Il popolo saharawi ha sempre collaborato con tutta sincerità e serietà agli sforzi di Onu e Unione africana, con il desiderio di stabilire una pace duratura e giusta. Per questo abbiamo insistito negli ultimi tre decenni sull’opzione di una soluzione pacifica, nonostante la progressiva inerzia delle Nazioni unite davanti ai tentativi del Marocco di imporre il fatto compiuto con la forza nelle terre occupate del Sahara occidentale. Tuttavia il nostro popolo non rinuncerà mai a difendere il suo diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza con tutti i mezzi legittimi, anche attraverso la lotta armata di liberazione.
Ci sono ancora possibilità per fermare il conflitto?
Come dicevo, è stato il Marocco a riaccendere la guerra. Come avvenne nel 1975, quando le sue forze militari invasero e occuparono il Sahara occidentale. Il nostro popolo non ha avuto altra scelta che quella di difendersi, allora come oggi. Il popolo saharawi è per sua natura pacifico, non ha mai aggredito nessuno. Fermare il conflitto in corso dipende, quindi, dalla volontà sia del Marocco di disinnescare la guerra, sia del Consiglio di sicurezza di contribuire con serietà a ristabilire la pace e la stabilità nella nostra regione.
In questo contesto Rabat deve accettare l’unico accordo condiviso dalle due parti in conflitto, quello controfirmato da Onu e Unione africana, senza continuare con la falsa proposta di un piano di «autonomia» di quei territori colonizzati illegalmente. L’unica soluzione pacifica è la piena applicazione della Minurso l’organizzazione di un referendum libero ed equo, sotto l’egida dell’Onu, che permetterebbe al popolo saharawi di esercitare il suo diritto inalienabile all’autodeterminazione.
Va sottolineato che la lotta armata non si fermerà fino a quando il nostro popolo non otterrà la libertà e l’indipendenza. Uno stop al conflitto passerebbe solo davanti a garanzie e date certe per il referendum, a differenza di quanto è successo finora.
Dopo la recente nomina a emissario, Staffan De Mistura ha avviato in questi giorni i colloqui tra le due parti, quali le vostre aspettative?
La nomina di Staffan de Mistura giunge in un momento difficile, di conflitto armato tra le parti. Consideriamo la sua esperienza una possibilità concreta per cambiare lo status quo e favorire una soluzione pacifica del conflitto. Dall’altra parte, però, molto dipenderà dalla reale volontà del Consiglio di sicurezza di impegnarsi in modo costruttivo per la pace, visto che anche l’ultima risoluzione, dell’ottobre 2021, non menziona minimamente le responsabilità del Marocco nella ripresa del conflitto. Il successo di De Mistura dipenderà molto dal sostegno che avrà dal Consiglio di Sicurezza nel costringere lo stato marocchino occupante a impegnarsi nel processo di pace e per le elezioni libere nel Sahara occidentale, altrimenti fallirà come i suoi predecessori.
Dopo quasi due anni di stop a causa dell’epidemia, avete ricevuto delegazioni di attivisti e corrispondenti stranieri nei campi profughi, come è adesso la situazione?
La diffusione della pandemia ha influito pesantemente sulla nostra già difficile condizione, a causa anche della mancanza di materiale e strutture sanitarie adeguate, soprattutto nei campi profughi. Ma siamo stati in grado di affrontarla adeguatamente, in base ai nostri mezzi limitati. La situazione epidemiologica ha inciso anche sulle visite di delegazioni straniere nei campi profughi e nei territori liberati della Rasd, con una riduzione in termini di cooperazione e aiuti internazionali. Nonostante ciò, abbiamo ricevuto alcune delegazioni ufficiali di stati amici, come il Sudafrica, o un gran numero di giornalisti internazionali per mostrare il conflitto «nascosto» e la nostra lotta armata.
E la situazione nei territori occupati dal Marocco?
Nei territori occupati c’è una continua escalation delle violazioni dei diritti umani contro i civili, costantemente esposti a violenze brutali e pratiche disumane, per non parlare del sistematico saccheggio delle nostre risorse naturali (prodotti ittici e fosfati, ndr). Nonostante il blackout mediatico imposto dal Marocco per nascondere queste violenze, sono numerose le testimonianze di violenza, torture e repressione poliziesca. Anche il commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, continua a esprimere la propria preoccupazione per la costante violazione dei diritti alla libertà di espressione con arresti, detenzioni arbitrarie, molestie, intimidazioni e torture di manifestanti, giornalisti, blogger, avvocati e difensori dei diritti umani. La situazione dei prigionieri politici saharawi, compreso il gruppo del campo di protesta «Gdeim Izik», continua a destare grave preoccupazione a causa delle condizioni disumane all’interno delle carceri marocchine. Lo stesso si può dire per l’attivista Sultana Khaya, reclusa nella sua casa da oltre un anno, e quotidianamente vittima, insieme alla sua famiglia, di percosse, aggressioni sessuali e altre forme di violenza. Ci rammarichiamo di questa situazione che denunciamo da sempre, anche perché le violenze da parte dell’occupante marocchino sono possibili soprattutto a causa del silenzio e dell’indifferenza della comunità internazionale.
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