Editoriale

Il Pd e Tsipras, una battaglia comune

Il Pd e Tsipras, una battaglia comuneAlexis Tsipras – Andrea Sabbadini

È positiva l’iniziativa culturale e politica per la Lista Tsipras per le prossime elezioni per il Parlamento Europeo. Chi scrive sostiene, come tutto il Pd e tutte le forze raccolte […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 11 febbraio 2014

È positiva l’iniziativa culturale e politica per la Lista Tsipras per le prossime elezioni per il Parlamento Europeo. Chi scrive sostiene, come tutto il Pd e tutte le forze raccolte nel Partito dei socialisti europei, la candidatura di Martin Schultz alla presidenza della Commissione europea. Tuttavia, va riconosciuta la potenzialità racchiusa dall’iniziativa pro-Tsipras per dare vigore politico a un’alternativa europeista per lo sviluppo sostenibile, la dignità della persona che lavora e la rianimazione della democrazia. Va anche riconosciuto però che, senza il riposizionamento culturale, politico e programmatico del Pse, “l’altra Europa” rimane un miraggio.

L’analisi di Tsipras e dei promotori della lista a sostegno della sua candidatura alla presidenza della Commissione europea si ritrova in componenti rilevanti, oggi ancora di minoranza, dei partiti socialisti europei. È raccontata da anni da una parte del Pd (in forma compiuta nel marzo 2011, nel contributo del Pd al Programma Nazionale di Riforme dell’Italia: “Europa, Italia. Un progetto alternativo per la crescita”, pubblicato da Italianieuropei). Una parte in minoranza culturale anche quando era nella contraddittoria maggioranza politica di un partito che, come gli altri partiti progressisti europei, è rimasto prigioniero, a causa di un’oggettiva emergenza finanziaria, subalternità culturale e un malinteso senso di “responsabilità nazionale”, dell’insostenibile europeismo liberista, rappresentato in Italia dall’Agenda Monti, riproposta con insufficienti discontinuità dal governo Letta. È la stessa analisi che Jurgen Habermas ha sbattuto in faccia al gruppo dirigente della Spd in un recente seminario a Potsdam, dove ha imputato a Gabriel e compagni complicità subalterna ai conservatori della Merkel nell’autolesionistica politica economica tedesca. Un’imputazione valida anche per Hollande, scandaloso in quanto sposa la Legge di Say e recita il mantra dell’offerta che crea la domanda.

Siamo d’accordo. L’euro-zona è sulla rotta del Titanic. L’iceberg è sempre più vicino. La rotta mercantilista della politica economica dettata dai conservatori teutonici e nord-europei e “raccomandata” dalla Commissione di Bruxelles porta al naufragio. I dati sono inequivocabili: austerità cieca e svalutazione del lavoro deprimono l’economia reale, distruggono Pil potenziale e gonfiano il debito pubblico. Sono oramai evidenti anche agli europeisti più conformisti i danni economici e sociali dell’austerità mercantilista. Invece, si tenta ancora di nascondere il fallimento in termini di finanza pubblica. Nell’euro-zona, la crisi è, per durata e profondità, peggiore di quella del ’29 e, conseguentemente, il debito pubblico medio balza dal 65% del 2008 al 95% di oggi. La disoccupazione si impenna e continua a salire. La piaga della povertà si allarga e l’impoverimento assedia le classi medie, abbandonate dalla sinistra, approdate nei limacciosi movimenti anti-europei, come ricorda anche Tsipras. L’inflazione sparisce e i rischi di deflazione diventano sempre più concreti e rendono ancora più irrealistici gli obiettivi di finanza pubblica. Le bilance dei pagamenti dei Piigs migliorano, arrivano all’attivo, ma a causa di una brutale caduta delle importazioni conseguente al crollo della domanda interna e di export tenuto a galla da una competitività giocata sull’immiserimento del lavoro. Le previsioni di ripresa sono sempre smentite dai dati effettivi. I famigerati “spread” sono tenuti a bada dagli “strappi” di Mario Draghi alla soffocante ortodossia imposta dalla Bundesbank e rivendicata dalla sentenza della Corte di Karlsruhe settimana scorsa. La sofferenza economica e sociale e la paura del futuro gonfiano i populismi nazionalisti spesso guidati dalle destre fascistoidi e reazionarie.

Il confronto serrato e costruttivo tra noi è possibile perché Tsipras e i promotori italiani della lista a suo sostegno riconoscono che il problema non e l’euro, ma l’impianto ideologico degli interessi dominanti ai quali è stato asservito e le politiche imposte ai Paesi periferici dell’euro-zona («Il ritorno allo Stato nazionale non può essere un’alternativa vera da nessuna parte» sottolinea Tsipras).
Quali sono i capisaldi per un’altra Europa? Lo abbiamo ricordato in un “Memo per il programma di un governo di svolta” (vedi huffingtonpost.it). Nel breve periodo: una politica monetaria più aggressiva; cambio di segno nella politica di bilancio per un allentamento nella periferia e un decisa espansione nei paesi del centro, anche mediante una golden rule nei bilanci nazionali per finanziare investimenti produttivi validati dalla Commissione; avvio di investimenti europei, definiti in una strategia green di politica industriale, finanziati mediante euro-project bonds e imposta europea sulle transazioni finanziare speculative; introduzione, lungo i confini dell’Unione, di standard ambientali e sociali per lo scambio di merci e servizi e controlli ai movimenti di capitali; inversione della autolesionistica politica anti-trust della Commissione; revisione dell’inadeguata soluzione sulla banking union e della minimale proposta di regolazione del sistema bancario europeo; rafforzamento dell’offensiva contro i paradisi fiscali intra e extra Ue; infine, punto decisivo, ristrutturazione dei debiti sovrani insostenibili (interessante e da approfondire la proposta di Tsipras di una conferenza ad hoc come Londra 1953: non soltanto per la Grecia, ma per ampio un insieme di Paesi). Per il medio periodo, sono necessari aggiustamenti istituzionali di grande portata: per la legittimazione democratica delle istituzioni comunitarie e per l’efficacia delle istituzioni economiche (Bce in primis).
I tempi per una radicale correzione di rotta del “Titanic Europa” sono strettissimi. La presidenza italiana dell’Unione europea è un’opportunità per provare a mettere ciascun governo e classe dirigente nazionale di fronte alla realtà e prospettare l’alternativa, non come patetico ricatto, ma come inevitabile conseguenza della deprimente continuità politica dei vertici di Bruxelles. O la svolta condivisa nella rotta di politica economica. Oppure, in un’alleanza da costruire tra i Paesi soffocati nella spirale svalutazione del lavoro-recessione-debito pubblico, un Piano B: la permanenza nell’euro e la rinegoziazione degli impegni sottoscritti. È, infatti, impossibile ridurre, finanche stabilizzare, il debito pubblico in uno scenario di stagnazione di medio-lungo periodo.

Insomma, senza tatticismi, mi rivolgo ai promotori della Lista per Tsipras: incontriamoci. Vi sono le condizioni per costruire, sulla base di punti condivisi, un Manifesto per un’altra Europa per un percorso comune tra i candidati al Parlamento europeo della Lista per Tsipras e i candidati del Pd impegnati per la svolta. Un confronto senza ambiguità ma costruttivo, pur tra soggetti elettorali in competizione, per iniziative unitarie a Strasburgo, dopo il 25 Maggio, da diversi gruppi parlamentari, per l’inversione di rotta. Soltanto così, “un’altra Europa” è possibile. Noi faremo la nostra battaglia nel Pd e nel Pse.

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