Cultura

No Tav, la guerra della comunicazione

No Tav, la guerra della comunicazioneBlu in sostegno dei No Tav

Tempi presenti «Cattivi e primitivi» di Alessandro Senaldi, per ombre corte. Una ricerca etnografica per mettere in evidenza i meccanismi retorici e le pratiche discorsive che hanno contribuito a forgiare il dibattito pubblico sulla Torino-Lionetà negli ultimi anni

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 15 novembre 2016

Giunge puntuale e opportuno il nuovo libro di Alessandro Senaldi, Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione, appena uscito per ombre corte (pp. 214, euro 18), nella nuova collana Etnografie. Un testo la cui pubblicazione è scandita emblematicamente dalla richiesta da parte del gruppo di otto senatori francesi, al lavoro da febbraio nella Commissione finanze del Senato di «congelare per una quindicina d’anni il finanziamento di nuovi progetti di linee ad alta velocità» per «dare priorità alla modernizzazione delle reti esistenti».

Nonostante il silenzio dei media mainstream italiani, in Francia la controversa linea Torino-Lione trova sempre meno consensi: non a caso la richiesta degli otto senatori fa seguito al parere contrario espresso già due volte dalla Corte dei Conti francese, secondo la quale un’eventuale decisione dello stato di proseguire con questo progetto sarebbe «estremamente preoccupante per l’equilibrio futuro delle finanze pubbliche».

Le ragioni dei No Tav risuonano nel Senato francese, dunque, dove le fondamenta del tunnel ferroviario paiono diventare sempre più fragili. In Italia, viceversa, l’opposizione alla Torino-Lione viene ancora liquidata come pregiudizio di «una patetica retroguardia di primitivi, ostili al progresso», quei valligiani «anti-democratici» e «arretrati culturalmente», tragicamente affetti da sindrome nimby – not in my backyard.
È in questo contesto che è utile leggere il libro di Alessandro Senaldi, particolarmente efficace nel servirsi della ricerca etnografica per mettere in evidenza i meccanismi retorici e le pratiche discorsive che hanno contribuito a forgiare il dibattito pubblico sulla Tav negli ultimi anni.
Nei media italiani, è stato demandato a una questione di ordine pubblico. Senaldi parla propriamente di una guerra che si serve della comunicazione per legittimare l’uso degli strumenti della repressione per neutralizzare la dialettica politica.
Il testo si serve dell’etnografia per offrire uno sguardo ravvicinato delle motivazioni e i valori del movimento No Tav, protagonista negli ultimi anni di una instancabile attività di resistenza e contro-informazione oltre che di più di mille procedimenti giudiziari.

Le interviste raccolte durante l’estate 2013, tra i presidi di Venaus e del Vernetto e il campeggio tenutosi in Località Gravella a Chiomonte, vengono qui contrapposte alla narrazione dominante. Emerge, tra le maglie strette di una quotidianità fatta di fermi, identificazioni, misure cautelari e accuse di terrorismo, una comunità tenuta insieme dalla passione e dalla necessità di difendere con le unghie e coi denti un fragile ecosistema e una democrazia che pare sussistere anzitutto nei vecchi borghi.
Senaldi richiama Jakobs e parla di un «diritto penale del nemico» da affiancare al «diritto penale del cittadino», a descrivere l’esistenza di un regime di diritto distinto per gli abitanti della Valle. Il diritto del nemico rimanda a una «forzatura della norma giuridica» volta a sospendere lo stato di diritto per alcuni soggetti.

Il recente documentario Archiviato. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa aggiunge evidenze inquietanti a questa interpretazione, collezionando in un film realizzato con il patrocinio di diverse associazioni di giuristi le violenze subite dai valligiani, descrivendo uno stato di eccezione gravemente lesivo delle libertà politiche eppure mai considerato degno di attenzione politica.

Il testo di Senaldi si sofferma a lungo sul bisogno di sottrarre all’inchiesta giudiziaria l’unica narrazione legittima di quanto avviene in Valle. Emerge chiaramente da questo testo, cui fa da epilogo il recente caso Chiroli, l’ex studentessa di antropologia condannata a due mesi con condizionale per l’uso del noi partecipativo nella sua tesi sul movimento No Tav, come le contro-narrazioni non siano mai fine a se stesse. Lo scontro di narrazioni rimanda sempre al tentativo di aprire o chiudere spazi di agibilità politica. Tolti i fermi, le misure cautelari e il massiccio ricorso alle autorità repressive, emerge, in questo senso, tra le righe del testo, un’altra immagine del movimento No Tav.

La generosità di una Valle che trabocca della volontà collettiva di allontanare da sé la repressione per celebrare i colori autunnali e l’attualità di una storia partigiana che vive ancora tra le case dei montanari e il presidio resistente. «Il tristo mondo della repressione», ha scritto di recente Nicoletta Dosio, simbolo della lotta No Tav e del coraggio di sottrarsi a misure cautelari vissute sempre più come «ingiuste imposizioni», «appare lontano e impotente di fronte a questa collettività forte e serena che, senza retorica ma con determinazione, sa proteggere i suoi figli e difendere le ragioni della lotta comune».

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