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No nuke, le mille e una scoria

Tanto tempo fa, ma non così tanto, in Italia, un ingegnere napoletano di nome Felice Ippolito si mise in testa di fare buon impiego dell’energia nucleare per usi civili, sotto […]

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 4 marzo 2021

Tanto tempo fa, ma non così tanto, in Italia, un ingegnere napoletano di nome Felice Ippolito si mise in testa di fare buon impiego dell’energia nucleare per usi civili, sotto il controllo dello Stato. Come “capitano di ventura” raggiunse una notevole fama essendo a capo, prima del Cnrn (Comitato nazionale ricerche nucleari) e poi del Cnen (Comitato nazionale energia nucleare che nel 1960 ne prese il posto), per poi mancare di un soffio la presidenza del neonato Enel. Ma, proprio come nelle favole e nelle storie avventurose, si fece molti nemici e finì in disgrazia per trenta lunghi anni fino a quando, nel 1996, fu chiamato a risolvere il problema delle “scorie”. Parola ambigua questa, e nello stesso tempo magica, perché nel campo nucleare evoca poteri spaventosi e sconosciuti ai più. Ippolito fu messo a capo della Sezione rischi nucleari della omonima Commissione della Protezione civile, che attraverso il Gruppo di lavoro appositamente formato aveva il compito di occuparsi delle scorie radioattive a cominciare dallo smaltimento e dall’individuazione dei criteri per selezionare un luogo dove metterle.

Nel 1997 Ippolito morì e a capo del Gruppo di lavoro subentrò Carlo Bernardini e così nel 1999 vide la luce il primo rapporto ufficiale sulla sistemazione dei rifiuti radioattivi in Italia. Ma un oscuro sortilegio ne avrebbe di lì a poco condizionato il destino.

Durante la XIII legislatura infatti, i maggiorenti Prodi e D’Alema strinsero un patto con dei capitani coraggiosi, ma non così tanto coraggiosi, quanto piuttosto avidi di certi tesori che c’erano in Italia, di cui fecero ingente bottino. Tutto fu razziato, e il poco che restava di quei tesori, fu venduto all’incanto per il tramite di esperti banditori come Franco Tatò (anche detto Kaiser Franz), chiamato a liquidare l’Enel. Costui era molto noto tra i tagliatori di teste (una razza padrona che non conosce estinzione), e avendo in gran dispetto lo Statuto dei lavoratori voleva liberarsi di tutta quella gente impiegata nelle attività di ricerca, studio e progettazione che erano state il vanto dell’Enel, ivi compreso il nucleare. Ed ecco che come per magia, nacque Sogin, e da quel momento la sorte dei rifiuti nucleari fu segnata.

A nulla valsero gli sforzi dell’Enea che tra il 2001 e il 2003 finalizzò lo studio del Gruppo di lavoro di Carlo Bernardini, definendo la mappa dei siti e il progetto del Deposito Nazionale: tornato Berlusconi a Palazzo, si perse ogni traccia di questi lavori finché, dopo l’ennesimo straripamento della Dora Baltea che minacciò il deposito di rifiuti nucleari di Saluggia, fu proclamata l’emergenza nucleare e nominato un commissario straordinario nonché presidente di Sogin nella persona del generale Carlo Jean. Al pari del Genio della Lampada, costui esaudiva i desideri del suo padrone Berlusconi, che s’era messo in testa di riuscire là dove i più potenti maghi del mondo avevano fallito: scaraventare nelle viscere della Terra il malefico potere delle scorie.

Forte del parere di Sogin, nel 2003, Jean indicò senza tentennamenti il luogo dove scavare: Terzo Cavone, comune di Scanzano Jonico. Ma sottoterra rischiò di finirci lui, se solo lo avessero raggiunto le incazzate genti lucane che costrinsero Berlusconi a rinunciare ai suoi deliri di potenza, ma non del tutto, ché nell’emendare la legge del 2003 si insediò una nuova commissione di studio e si stabilì che il deposito nazionale era opera di difesa militare e che sarebbe stato ultimato entro il 2008!
Viceversa, nel 2008, cambiato il governo e con Bersani Ministro dello sviluppo economico, si ricominciò da capo nominando un nuovo Gruppo di lavoro per il Deposito a cui Sogin non fu chiamata a partecipare. Neanche il tempo di redigere la sua prima relazione che il Gruppo fece fagotto dato che il “Cavaliere di Arcore” era tornato assetato di vendetta e nel 2010, con un magheggio, assegnò a Sogin tutte le attività di localizzazione, costruzione, gestione del Deposito nazionale (a cui si era aggiunto un Parco Tecnologico) nonché l’erogazione degli indennizzi alle popolazioni locali.

Da allora dieci anni sono passati invano, e commissioni, e progetti falliti, mentre le scorie sono sempre là dov’erano agli inizi di questa incredibile storia, che però non è più incredibile di quella che racconta della mappa dei siti; ma, come diceva la saggia Shaharazàd, per ascoltarla bisognerà attendere un’altra notte.

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