Internazionale

No da Beirut a Trump sui profughi siriani e palestinesi

No da Beirut a Trump sui profughi siriani e palestinesicampo profughi in Libano

Medioriente Dal capo dello Stato Aoun all’Alto consiglio islamico sciita secco rifiuto della «proposta» del presidente Usa

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 23 settembre 2017

Ha suscitato l’ira dei libanesi, di ogni orientamento, l’invito del presidente Usa Donald Trump a naturalizzare i profughi di guerra nei paesi vicini a quelli di origine.

Dal capo dello Stato Michel Aoun all’Alto consiglio islamico sciita è giunto un secco rifiuto della «proposta». Due giorni fa Aoun, parlando all’Assemblea generale dell’Onu, aveva prima ribadito che il Paese dei Cedri non permetterà la naturalizzazione di nessun rifugiato siriano o palestinese «non importa a quale costo». Poi ha esortato le Nazioni unite ad «aiutare meglio i rifugiati facendoli tornare nel loro Paese invece che aiutarli a vivere nei campi di accoglienza dove mancano i requisiti minimi per una vita dignitosa».

Poi è stata la volta del premier Saad Hariri di chiudere la porta della naturalizzazione. Infine è stato il capo dell’Alto consiglio islamico sciita, Abdel Amir Qabalan, a condannare le parole di Trump. «Condanniamo ogni sforzo per naturalizzare i palestinesi e deploriamo anche la richiesta di naturalizzare i profughi siriani», ha protestato Qabalan, vicino a Hezbollah. Simili, le reazioni di esponenti della politica e della società di ogni orientamento.

Trump ha toccato un nervo scoperto. In Libano assieme a quattro milioni di abitanti vivono circa un milione di profughi siriani registrati (e almeno un altro mezzo milione «clandestini») e circa 500mila palestinesi discendenti di quelli espulsi o fuggiti dalla loro terra durante la guerra arabo-israeliana del 1948. La presenza di questi «stranieri» è stata segnata da gravi tensioni e persino stragi.

Ne è un esempio il massacro di circa 3mila palestinesi nei campi di Sabra e Shatila, di cui ricorre proprio in questi giorni il 35esimo anniversario, compiuto da miliziani dell’estrema destra libanese (con la copertura dell’esercito israeliano). Non sono mancate in questi anni aggressioni e violenze a danno dei rifugiati siriani di cui buona parte della popolazione libanese vedrebbe con grande favore l’immediato rientro in patria, ora che il quadro generale siriano appare meno drammatico che in passato.

L’idea della concessione della cittadinanza libanese ai profughi è da decenni al centro del dibattito nel Paese. I profughi sono, quasi tutti, musulmani sunniti e la loro naturalizzazione finirebbe per modificare l’equilibrio settario del Libano, sui cui si basano il sistema di assegnazione delle cariche istituzionali e la legge elettorale.

Non sorprende che in Libano sia vietato pubblicare dati aggiornati sulla composizione religiosa della popolazione. Qualcuno ipotizza che Trump con la sua «proposta» si sia riferito non tanto ai profughi siriani ma a quelli palestinesi. Il diritto di questi profughi al ritorno nella loro terra è un pilastro della storia e della politica in Medio Oriente. Israele esclude categoricante che ciò possa avvenire.

Tel Aviv da sempre sostiene che il Libano, così come la Giordania e la Siria, debbano assorbire in modo definitivo i profughi palestinesi, mettendo fine alle loro rivendicazioni. Trump forse ha voluto sondare il terreno.

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