Editoriale

No all’obbligo dell’oblio

Il giorno del ricordo Ha scritto Gloria Anzaldúa, scrittrice messico-americana: la terra di confine fra Messico e Stati Uniti è una ferita aperta, dove il terzo mondo si strofina col primo e sanguina. Anche […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 11 febbraio 2014

Ha scritto Gloria Anzaldúa, scrittrice messico-americana: la terra di confine fra Messico e Stati Uniti è una ferita aperta, dove il terzo mondo si strofina col primo e sanguina. Anche la terra di confine fra Italia e (ex)Jugoslavia è stata e rimane una ferita aperta e insanguinata. Non è male che veniamo periodicamente invitati a ricordarlo.

È un peccato però che un «giornata del ricordo» si debba innestare su un obbligo di oblio.

Ricordare i crimini dei partigiani jugoslavi e dimenticare i crimini italiani nella Jugoslavia invasa, i villaggi incendiati, le stragi, i pogrom, le deportazioni, campi di concentramento e di morte; dimenticare vent’anni in cui il governo italiano cercò in tutti i modi di cancellare una lingua, una cultura, persino i nomi, da quella terra di confine.

È un peccato per due ragioni: in primo luogo, perché in questo modo ogni volta che si evoca il contesto e i precedenti delle foibe pare che lo si faccia per azzerare tutto e sminuire la gravità di quegli assassini, come se un crimine ne cancellasse un altro in una specie di macabra contabilità di crediti e debiti; e in secondo luogo perché pratica la memoria come arte del risentimento e del vittimismo, quanto abbiamo sofferto ma mai che cosa abbiamo fatto; una memoria che serve a farci sentire vittime e quindi, implicitamente buoni e puri.

Invece la memoria serve a tutt’altro: serve a metterci a disagio, a turbarci, a farci porre delle domande su noi stessi. Per questo è giusto che noi comunisti ci interroghiamo su quello che i nostri compagni hanno fatto anche in nostro nome, e quindi su che cosa c’è nella nostra soggettività che può condurre a delitti simili.

E per questo è giusto che noi italiani ci interroghiamo su quello che è stato fatto, in nostro nome, nei paesi invasi e massacrati; su che cosa c’è nella nostra cultura che può indurre generali italiani come Robotti o Roatta a dire «qui si ammazza troppo poco» e rivendicare la legge di «una testa per un dente».

Come comunisti italiani, insomma, questa ferita insanguinata ci chiama due volte in causa, due volte vittime e due volte assassini. Che fascisti e reazionari di ogni genere abbiano voluto questa giornata come per bilanciare Auschwitz, con poco senso delle proporzioni, dà fastidio – soprattutto perché lo fanno quasi sempre in modo talmente strumentale e ignorante che infine non ricordano altro che slogan. Ma non è una buona ragione per non ricordare – per non ricordare tutto.

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