No ai localismi, ma vanno rispettate le autonomie speciali
Sostiene Massimo Villone (su il manifesto del 10 maggio scorso) che una pandemia non si affronta con i localismi. Difficile dargli torto. È invece difficile dargli ragione quando nella categoria […]
Sostiene Massimo Villone (su il manifesto del 10 maggio scorso) che una pandemia non si affronta con i localismi. Difficile dargli torto. È invece difficile dargli ragione quando nella categoria […]
Sostiene Massimo Villone (su il manifesto del 10 maggio scorso) che una pandemia non si affronta con i localismi. Difficile dargli torto.
È invece difficile dargli ragione quando nella categoria del «localismo», aggravata dalla pretesa di «privilegi fiscali», comprende anche la posizione delle autonomie speciali, a cominciare da quelle del Trentino-Alto Adige, nel negoziato col governo sulle misure di contrasto agli effetti economici e sociali della pandemia.
Una posizione negoziale che Villone ricorda, anche citando un mio intervento su L’Adige, essere condivisa in modo bipartisan dall’intero schieramento politico trentino.
Trentini e altoatesini-sudtirolesi non chiedono privilegi, ma solo la possibilità di accedere alle stesse misure anticicliche messe in campo dall’Unione europea e dal governo a favore di tutti gli italiani, e di poterlo fare non violando, ma rispettando e valorizzando le regole previste, nelle relazioni finanziarie tra lo Stato e le autonomie speciali, dalla Costituzione e dallo Statuto di autonomia.
Ai problemi dell’economia reale, che in una Regione a forte vocazione turistica si prevede saranno più gravi della media italiana, rischiano infatti di sommarsi, con un paradossale effetto prociclico, quelli della finanza pubblica.
Che a Trento e Bolzano è quasi per intero finanza provinciale, alimentata non da trasferimenti dallo Stato, come è il caso delle autonomie ordinarie, ma da una compartecipazione al gettito fiscale, estesa quanto la gamma delle competenze esercitate direttamente.
A causa della caduta del pil e delle (giuste) politiche di riduzione della pressione fiscale messe in atto dal governo, la Provincia autonoma di Trento (analoga la situazione a Bolzano) prevede un calo delle entrate superiore ai 400 milioni di euro, su un bilancio di 5 miliardi.
Se questo scenario dovesse effettivamente verificarsi, la Provincia autonoma si troverebbe nell’impossibilità, non solo di mettere in campo misure anticicliche nei settori di propria competenza, ma perfino di far fronte agli oneri ordinari di sanità e assistenza, scuola e università, finanza locale e gestione della rete stradale.
D’altro canto, la soluzione non può essere individuata semplicemente associando le autonomie speciali al tavolo di riparto dei trasferimenti dello Stato alle autonomie ordinarie.
Contrastano con questa ipotesi, in punto di diritto, più volte riaffermato dalla Corte costituzionale, la natura pattizia e bilaterale delle relazioni finanziarie tra
lo Stato e ogni singola autonomia speciale, e in via di fatto una struttura dei bilanci delle speciali troppo diversa da quella delle ordinarie.
La soluzione non può che essere individuata all’interno dello Statuto di autonomia, che impone al nostro sistema autonomistico di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica dello Stato, in strettissima ed esplicita correlazione con l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
Proprio questa correlazione, in una fase di sospensione dei vincoli europei è, a mio modo di vedere, il principale argomento a sostegno della proposta, avanzata al governo dai presidenti del Trentino e dell’Alto Adige, forti di un consenso bipartisan, di sospendere gli obblighi conseguenti a carico delle nostre autonomie speciali e consentire loro per questa via di partecipare agli spazi più ampi di indebitamento concordati a livello europeo.
* capogruppo del Pd nel consiglio della Provincia autonoma di Trento,
ex-presidente della commissione Bilancio del Senato
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