Lavoro

«No a Confindustria, sì ai rinnovi»

«No a Confindustria, sì ai rinnovi»Una manifestazione sindacale per chiedere il rinnovo dei contratti

Contrattazione Il sindacato cerca una difficile strada per rispondere a Jobs act e deflazione. Landini strappa applausi in trasferta: la situazione è grave, portare a casa il contratto non basta, serve riconquistare i dirtti e la coalizione sociale serve proprio a questo

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 4 marzo 2015

«Quando Confindustria arriva a mettere in discussione il patrimonio di relazioni dei chimici, vuol dire che sbarella». La battuta è di Agostino Megale, segretario dei bancari della Cgil e «inventore nel 2009 – come ricorda Paolo Pirani della Uil – dell’Ipca», l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi membri dell’Unione europea che è la base di calcolo attuale degli aumenti contrattuali.

Proprio di contrattazione si parla al convegno organizzato dalla Filctem, la federazione Cgil che unisce chimici e tessili e che ha nella firma unitaria dei contratti una regola aurea. Dove Confindustria – con il direttore dell’area lavoro e welfare Pierangelo Albini – diserta all’ultimo momento dando adito alle voci di spaccature, specie con Federchimica, la sua associata che stava chiudendo un accordo coi sindacati del settore per spalmare gli aumenti in più tranche, evitando di arrivare a contratti ad aumento zero o – come imporrebbe la deflazione attuale – addirittura con restituzione di soldi da parte dei lavoratori.

La linea di Confindustria è però nota: blocco (o moratoria) dei contratti. Come per il comparto pubblico. Di «ricchezza prodotta da distribuire» non ce n’è, e allora «noi rinunciamo a chiedere indietro i soldi che vi abbiamo dato, ma non chiedeteci aumenti».

La risposta dei sindacati è un «No» grande e grosso. Ma se l’obiettivo di «rinnovare i contratti» è comune a tutti, sul come la discussione è articolata e una posizione unitaria lontana.

La proposta di legare gli aumenti alla crescita del Pil, avanzata la scorsa settimana dal segretario della Uil Carmelo Barbagallo, non convince. Per il padrone di casa e relatore d’apertura Emilio Miceli «rischia di non essere la strada giusta perché può tradire squilibri pesanti fra i settori».

Per la Filctem serve una «nuova politica salariale» che «riprenda lo spirito dell’accordo del 1993 ma tenendo conto anche dell’andamento specifico dei settori con la creazione di indicatori macroeconomici che sostengano il potere d’acquisto dei lavoratori» mentre «si sa che gli istituti di statistica sono ottimisti quando c’è deflazione e pessimisti quando c’è inflazione». La sintesi finale è presto detta: «nessuna moratoria mascherata dei contratti, ma subito la presentazione delle piattaforme unitarie (entro giugno, ndr) per i contratti» chimico-farmaceutico, elettrico, energia e gas-acqua che riuniscono 1,6 milioni di lavoratori.

Sulla stessa lunghezza d’onda gli omologhi di Cisl (Sergio Gigli della Femca, vicina alla fusione con i meccanici della Fim: «Confindustria vuole tentare di tirar via il contratto nazionale anche nelle federazioni di buona volontà») e Uil (Pirani della Uiltec: «Dobbiamo immaginare una politica propulsiva dei salari che costringa imprese a fare i conti con l’innovazione») e gli altri segretari Cgil (Stefania Crogi degli agrolimentari della Flai e Walter Schiavella degli edili Fillea).

Ma il discorso in casa Cgil si amplia alla strategia confederale: usare la contrattazione per depotenziare il Jobs act («produrrà un alto contenzioso giuridico e di certo non ricopieremo sotto dettatura la riforma dentro i contratti», precisa Miceli). E qui entra in scena Maurizio Landini. Che con un intervento da sindacalista puro («la coalizione sociale è partita da un ragionamento puramente sindacale, come la conferenza sui diritti di Trentin del 1994, per ricreare una rappresentanza sociale a chi lavora in contrapposizione alla coalizione Confindustria-governo») riesce nell’impresa di farsi applaudire da una platea fatta essenzialmente di quadri del sindacato dei chimici, «destri» per natura, unitari per vocazione.

Il segretario generale della Fiom parla «della situazione grave che in tutta Europa mette in discussione l’idea stessa di contrattazione»: «le imprese vogliono sostituire il contratto aziendale al posto del nazionale, il governo vuole ridurre il ruolo del sindacato alla sola presenza aziendale». In questo quadro «la discussione non può essere come portare a casa il contratto quando rischiamo che Renzi abbia dato gli 80 euro e noi firmeremo la restituzione di 79, con le imprese che ci lasciano un euro per il caffè».

Per questo Landini propone che il contratto nazionale debba diventare «lo strumento per defiscalizzare, utilizzando i soldi che le imprese hanno preso dagli sgravi sulle assunzioni per fare prepensionamenti, inserire il salario minimo come minimo contrattuale, riunificare le filiere produttive, ridare diritti ai chi ha il tutule crescenti, alle partite Iva, ridurre l’orario per aumentare l’occupazione come alla Ducati di Bologna e non come alla Fca di Melfi, dove si lavorerà di più assumendo molto meno del possibile».

La Cgil, annuncia in chiusura il segretario confederale Franco Martini, discuterà la questione il 26 marzo «per riprogettare la contrattazione come leva della crescita, il contratto nazionale come uno strumento d’identità e rappresentanza».

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