Cultura

Nipote mio, resta lontano!

Nipote mio, resta lontano!Italiani emigranti sbarcano a Ellis Island

Storia Luigi Botta nel libro «Figli non tornate», edito da Aragno, raccoglie le lettere dei parenti ai loro cari in America durante la Grande Guerra

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 5 novembre 2016

«Ora ti dico che prima aspettavo giorno per giorno che tu tornassi per riaverti tra di noi. Invece ora ti dico che hai fatto molto bene a non tornare in patria e non tornare se prima non finisce questo flagello di guerra». L’appello sconsolato di questa zia al nipote rappresenta la speranza comune di intere famiglie a non ritrovare i propri cari massacrati o scempiati da un conflitto inutile e mostruoso, quella guerra che di Grande avrebbe avuto solo il numero dei morti. Il grido non è solitario: centinaia di lettere e testimonianze lo accompagnano, e possono finalmente essere lette grazie allo scrupoloso lavoro di raccolta di Luigi Botta. Giornalista e già insegnante, è uno dei massimi esperti italiani delle vicende biografiche di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, e proprio attraverso una lunga ricerca d’archivio d’oltreoceano ha consegnato al lettore un documento eccezionale per intensità lirica e testimonianza storica.

Figli non tornate! (Aragno, pp. 591, euro 25) offre le lettere di moltissimi famigliari italiani ai propri cari negli Stati Uniti, e svela un’America sommersa, poco presente nelle pagine dei giornali: è la storia del popolo attraverso gli occhi del popolo.
«Tu Gaetano mio, puoi proprio chiamarti fortunato di chiamarti fuori d’Italia, molto lontano, in questo brutto periodo di tempo. E dire che molti ignoranti continuano ancora a credere in un Dio buono, giusto e misericordioso. Ma dov’è questo Dio? Se è vero ch’egli esiste perché permette che si compia un simile macello?».

L’impatto emotivo è immediato. Sarebbe un errore tuttavia derubricare questo lavoro a una «semplice» collezione di epistole. Botta fa molto di più: mostra come attraverso gli appelli struggenti delle famiglie italiane inviate in Nord America si possa raccontare la verità degli eventi bellici. E questa realtà è un mondo di sfruttatori che intende far carne da macello degli sfruttati, in una logica capitalistica lungi dal tramontare. Le lettere, e non è casuale, vennero state pubblicate su un giornale allora famoso, Cronaca Sovversiva, diretto da Luigi Galleani, un avvocato anarchico che fece penare polizie e governi di mezzo mondo.

Quando il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’impero austro-ungarico, tutti i maschi adulti disponibili e capaci di tenersi in piedi sulle loro gambe vennero precettati. Galleani, e la grandissima comunità anarchica presente negli Stati Uniti, dette battaglia. Le testimonianze aumentarono sempre più, gli appelli si moltiplicarono e nutrirono la protesta antimilitarista. Molte coscienze erano consapevoli che ad alcuni padri desiderosi di vedere i figli in prima linea con la divisa, bisognasse rispondere con l’internazionalismo, e rifiutare qualsiasi logica assassina, perché «la guerra ha come scopo principale, se non unico, di scavare più profonde le divisioni fra popolo e popolo, tra oppressi e oppressori».

L’appello «figli non tornate!», inviato ufficialmente da Palermo e pubblicato sul giornale il 24 luglio 1915 cominciò a fare effetto, e clamore. Il grido diventò Contro la guerra, per la pace e la rivoluzione! e tanti, tantissimi vi aderirono. Cominciarono gli arresti e le perquisizioni, ma la battaglia riuscì ad andare avanti finché l’America non entrò in guerra. Con l’Espionage Act del giugno 1917 il clima si fece rovente, insopportabile. Molti anarchici tornarono in Italia, altri fuggirono. Cronaca Sovversiva chiuse i battenti. La Red Scare, la paura del comunismo, alimentata dalla rivoluzione russa, trasformò gli Usa in un mastino da cui non si poteva più fuggire. Iniziò la caccia spietata, e tra le tante vittime innocenti verranno registrate Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, i due anarchici divenuti tristemente famosi per essere stati assassinati sulla sedia elettrica, la notte del 22 agosto 1927.

Il libro di Botta attraversa quegli anni febbrili grazie alla testimonianza diretta, e come emerge dalla importante prefazione di Gian Antonio Stella, fa parte di diritto della storia del nostro paese.

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