Visioni

Nino D’Angelo, «Il mio Trianon è un faro che dà coraggio»

Nino D’Angelo, «Il mio Trianon è un faro che dà coraggio»Nino D'Angelo in scena

A teatro L'artista richiamato come direttore dello storico teatro napoletano che riapre venerdì prossimo. «Gli anni di chiusura sono stati buttati via, i problemi a Forcella sono sempre gli stessi ma adesso c’è più disperazione. Senza cultura non si cresce»

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 26 novembre 2016

Il Trianon Viviani venerdì prossimo riapre i battenti. Il sipario si alzerà per lo spettacolo Io, senza giacca e cravatta: in scena i musicisti e Nino D’Angelo, richiamato a fare il direttore dello storico teatro di Forcella, a Napoli, dopo due anni di totale abbandono e quattro di gestione fallimentare a causa delle scelte dei soci istituzionali (regione e provincia). Il primo spettacolo del cartellone è un tuffo nei ricordi: «Nel 1996 – racconta D’Angelo – partecipai al Capodanno in piazza del Plebiscito con Lucio Dalla. Decisi di portarlo a vedere la casa dove ero nato, nel quartiere di San Pietro a Patierno, dove una volta l’economia ruotava intorno all’attività degli scarpari: si producevano scarpe, nell’aria c’era l’odore di pelle e colla. Casa mia era in un vicolo stretto e chiuso, la zona si chiamava ’O pizz Casale, quando arrivammo lì scoprii che non c’era: l’avevano buttata giù e, al suo posto, avevano costruito un palazzone. Ci sono rimasto male, non riuscivo a dormire. Era come se, con le pietre, fossero finiti a terra pure i ricordi. Così decisi di scrivere uno spettacolo che raccontasse la mia vita, gli inizi, le emozioni. La musica che sentivo nelle strade del quartiere: Pino Daniele, Sergio Bruni, Raffaele Viviani, Mario Trevi».

D’Angelo aveva già diretto il Trianon tra il 2006 e il 2010, una gestione molto fortunata che aveva portato pubblico ed entusiasmo, parte dell’attività dedicata a laboratori per il quartiere e persino una big band multietnica guidata da Daniele Sepe. Le elezioni e il cambio alla guida della regione ebbero come effetto collaterale il cambio al vertice del Trianon: tracollo di pubblico fino alla chiusura nel 2014 e il rischio che finisse in vendita, trasformato in supermercato. Anche nel 2006 il quartiere viveva un momento difficile, alle prese con le faide di camorra: nel 2004 era morta Annalisa Durante, usata da Salvatore Giuliano come scudo umano per sfuggire a un agguato. Lo scorso capodanno durante una «stesa» un ragazzo di 27 anni è morto solo perché era accanto al bar vicino al Trianon, vittima di una raffica di pallottole sparata da una delle tante paranze, nuove leve dei clan, al solo scopo di intimidire. «Sono stati anni buttati via – commenta D’Angelo -, i problemi a Forcella sono sempre gli stessi ma adesso c’è più disperazione. Senza cultura non si cresce. Il Trianon deve essere come un faro che dà coraggio. Voglio creare una compagnia con la gente che vive in zona, laboratori con i ragazzi. Per lo spettacolo L’ultimo scugnizzo di Viviani che metterò in scena voglio coinvolgere gli scugnizzi di Forcella».

Quaranta anni fa,  nel 1976, usciva il primo 45 giri di Nino D’Angelo, ’A storia mia (’O scippo), è il racconto di un ragazzo arrestato per aver scippato una signora: è figlio illegittimo, la madre è malata, ruba per sopravvivere e per i medicinali, andare in galera lo mette nel conto ma non prima di aver spiegato alla legge e alla donna borghese chi è e perché ruba. «Era una canzone che derivava dalla Sceneggiata» spiega D’Angelo, cioè da quel genere teatrale diffuso a Napoli a cavallo della Seconda guerra mondiale in cui recitazione e canzone si fondevano per mettere in scena la vita dei quartieri popolari. E ancora: «La canzona napoletana degli anni ’70 ha anticipato tutti i temi di Gomorra, cantava la malavita, raccontava la verità. All’epoca mi venivano a sentire tutti gli scippatori. Io non volevo rimanere chiuso in quel genere artistico ma ho sempre saputo che senza i diritti non possono esistere i doveri. La mamma della canzone muore perché in certe zone lo stato non c’è proprio. E non possiamo fare finta di non saperlo». D’Angelo ha portato la tradizione artistica partenopea fino ai territori della world music, sicuramente ha due grandi riferimenti, il drammaturgo Raffaele Viviani (in cartellone al Trianon due suoi lavori) e Mario Merola, di cui è stato uno dei maggiori allievi: «Era il re indiscusso della Sceneggiata. Un generoso, ma dovevi stare attento: ogni volta che ti vedeva ti chiedeva ’come sta tuo padre? Tua madre? I tuoi fratelli?’ e così via. Ogni domanda era una pacca sulla spalla. Se tenevi una famiglia numerosa alla fine ti aveva fatto una mazziata!».

A gennaio al Trianon tornerà una delle più famose sceneggiate di Merola, Zappatore: «Sono dieci anni dalla sua morte, era doveroso rendergli omaggio. Se non mi guardo indietro non riesco ad andare avanti. Ho fatto tante cose nella mia vita, ho suonato all’Olympia di Parigi, a Londra, a New York, ma la cosa più strana che ho fatto è il direttore artistico del Trianon. Mai avrei pensato di avere un incarico simile. Quando l’allora governatore Antonio Bassolino me lo propose io risposi ’ma quando mai, quelli poi mi prendono in giro, mi chiamano diretto’. Eppure sono di nuovo qui e sono felice».

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