Internazionale

Nikkei compra il Financial Times dubbi sulla sua «indipendenza»

Giappone Il potente editore giapponese diventa sempre più player globale

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 25 luglio 2015

L’editore del Nikkei Shimbun, il primo quotidiano economico giapponese, ha acquistato per una cifra pari a oltre 1 miliardo di euro, il Financial Times dall’editore Pearson.

L’accordo è arrivato giovedì scorso. Dopo le acquisizioni di nomi di spicco della stampa americana come il Washington Post e il Wall Street Journal da parte di Amazon e News Corp nel 2013 e nel 2007, Nikkei dà l’ultimo scossone al mondo dell’editoria globale, ritagliandosi il proprio spazio nella competizione tra le più importanti multinazionali dei media del mondo.

L’editore giapponese ottiene il controllo di un ampio portfolio di prodotti legati al quotidiano economico fondato a Londra nel 1888, che include il giornale cartaceo, il sito internet ft.com, l’edizione in mandarino Ft Chinese e l’editore di settore Financial Publishing.

Nella corsa al Ft, Nikkei l’ha spuntata sulla tedesca Axel Springer che aveva intavolato una trattativa con Pearson già un anno fa. In un comunicato stampa l’amministratore delegato di Pearson, John Fallon ha espresso l’«orgoglio» della sua azienda, proprietaria del celebre foglio rosa salmone per quasi sessant’anni e ha espresso ottimismo per il passaggio di proprietà in mano nipponica. «Nel settore media – ha detto Fallon – abbiamo raggiunto un punto critico a causa della crescita esplosiva di smartphone e tablet e dei social network».

Soddisfazione espressa anche da Tsuneo Kita presidente di Nikkei: «condividiamo la stessa missione e gli stessi valori di informazione». L’Ft passa a Nikkei in buona salute, con una circolazione aumentata del 30 per cento negli ultimi cinque anni – tra cartaceo e digitale – con il digitale a farla da padrone: la maggior parte degli introiti del Financial Times (circa 470 milioni di euro) viene infatti da contenuti e servizi online. Per il momento l’accordo non include le proprietà del gruppo Ft a One Southwark Bridge, Londra e il 50 per cento di partecipazioni di Pearson nel settimanale Economist.

Ma, si legge ancora nel comunicato, le autorità regolatrici potrebbero dare il via libera entro la fine di quest’anno.
Fondato nel 1876 come bollettino di informazione economica, il Nikkei Shimbun è oggi la punta di diamante dell’editore Nikkei – che oltre all’editoria tradizionale (libri e riviste) opera nel settore televisivo, dei servizi alle aziende e nell’organizzazione di eventi economici e culturali.

Con una tiratura che sfiora i 40 milioni di copie l’anno – dati di fine 2014 – e un parco di lettori compreso tra i 2,7 e i 3 milioni di persone, il Nikkei è infatti il più diffuso quotidiano economico giapponese, ma come i suoi concorrenti in patria deve far fronte al costante calo delle vendite causato dal sempre più veloce invecchiamento della popolazione del paese arcipelago.

Per ovviare in parte al problema, nel 2013, l’editore ha lanciato il Nikkei Asian Review, una versione in inglese del quotidiano con un focus più marcato su temi di politica ed economia dalla regione Asia-Pacifico. Naotoshi Okada, manager dell’azienda ha spiegato: «Nikkei è leader mondiale nell’informazione dal continente asiatico. Vogliamo mettere a disposizione le nostre competenze al Ft. In cambio cercheremo di far arrivare le informazioni di alta qualità del Ft ai nostri lettori giapponesi».

Secondo quanto scritto dal settimanale Toyo Keizai, l’accordo è il segno più distintivo del cambio di strategia dell’editore: dall’autosufficienza dei primi 2000, all’offensiva. Una buona notizia per Nikkei che si affaccia alla competizione globale. Ma, a livello pratico, conclude il pezzo, rimane un’incognita: quella dell’indipendenza del nuovo soggetto da influenze delle grandi aziende giapponesi, o, addirittura, del governo di Tokyo.

Come già per il caso dello scandalo del falso in bilancio Olympus del 2011 – su cui Nikkei offrì una copertura parziale – qualche informazione «scomoda» potrebbe essere eliminata. E, in un caso simile, non sarebbe soltanto un problema giapponese.

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