Niente dietrofront: la Hiab chiude. «La fabbrica resta occupata»
La protesta dei lavoratori Solidarietà e preoccupazione dai colleghi di Minerbio: rischio delocalizzazione
La protesta dei lavoratori Solidarietà e preoccupazione dai colleghi di Minerbio: rischio delocalizzazione
Il sito produttivo della Hiab di Statte, multinazionale svedese che costruisce gru, cesserà di produrre. La notizia, già nell’aria, è arrivata a margine dell’incontro tenutosi presso il ministero delle Imprese (Mimit) tra le delegazioni dei sindacati metalmeccanici di Fim, Fiom e Uilm, la regione Puglia, il comune di Taranto, e la dirigenza italiana dell’azienda. Quest’ultimi hanno confermato la volontà di accentrare, nel sito di Minerbio in provincia di Bologna (che assieme alla fabbrica di Statte faceva parte della Effer, azienda italiana che Hiab ha rilevato nel 2018), l’intera attività manifatturiera nazionale «al fine di costituirne un polo d’eccellenza».
Una delocalizzazione che, ufficialmente, sarebbe legata al calo degli ordinativi sebbene il rapporto sindacale relativo ai primi sei mesi del 2024, attesti ordini in aumento. Una realtà quella in provincia di Taranto che, stando alle sigle, «ha garantito ad Hiab di guadagnare la propria posizione di leadership nel settore». Proprio per questo motivo il presidio permanente della fabbrica, che ha bloccato la produzione dal 15 ottobre, quando lavoratrici e lavoratori hanno dichiarato lo stato di agitazione, proseguirà.
I lavoratori continueranno a organizzarsi a turni per mantenere l’occupazione del sito almeno fino al 12 novembre, data del prossimo tavolo in cui indotto e sindacati capiranno la proposta di Hiab. Il futuro, per questi 102 operai tecnici specializzati e le rispettive famiglie, in quest’ottica appare segnato da quanto stabilito dalla multinazionale: utilizzo di ammortizzatori sociali sfruttando da un lato un anno di cassa integrazione straordinaria, e dall’altro le dimissioni volontarie incentivate del personale. Successivamente, sembra che circa 25 dipendenti saranno trasferiti nel sito di Minerbio, un massimo di sei andrà in prepensionamento e, per il restante personale in forza, con un’età media di circa 50 anni, come detto la cassa integrazione a zero ore. Ma, nell’organico Hiab, ci sono figure professionali molto richieste dal mercato del lavoro, per cui, a fronte della misura dell’incentivo che l’azienda offrirà, potrebbe anche esserci interesse, da parte di un certo numero di dipendenti, a licenziarsi, ottenere l’incentivo, e cercare sistemazione altrove.
Nel mentre anche i lavoratori del sito bolognese, vincolati alle forniture di Statte e solidali coi colleghi tarantini, hanno aperto lo stato di agitazione richiedendo garanzia occupazionale e piano industriale. L’iter dello stabilimento in riva allo Jonio, infatti, appariva precario già col benservito fornito a circa 100 lavoratori interinali (molti dei quali presenti in azienda da più anni) prima, e con la riduzione del 40% dell’organico poi. Misura, quest’ultima, non casuale e che rappresenta la soglia massima consentita dai decreti “anti-delocalizzazione” per non restituire i contributi percepiti negli ultimi 10 anni. Le sigle sindacali temono che la delocalizzazione a Minerbio sia solo intermedia, e propedeutica alla prossima tappa: la volontà di accentrare le attività produttive e costruire poli d’eccellenza all’estero.
Il Mimit, per scongiurare questa tragica eventualità, ha imposto alla multinazionale svedese la presentazione di un piano industriale realizzabile per tutti i siti produttivi nazionali. L’azienda, in occasione del prossimo tavolo del 12 novembre, dovrà rendere note le motivazioni che hanno determinato la chiusura dello stabilimento al fine di ottenere la procedura di cassa integrazione straordinaria. Strumento che, per un anno, servirà a guadagnare tempo e a trovare nuovi soggetti disposti a subentrare alla multinazionale, reindustrializzarla riconvertendone l’attività, e a prendersi in carico il personale rimasto.
Quella di Hiab è l’ennesima drammatica vertenza lavorativa che insiste nel territorio tarantino. Stando ai report relativi all’anno passato redatti dalla Uil locale, la cassa integrazione straordinaria processata, legata alle crisi aziendali più gravi, su un totale di 19.305 posizioni aperte in Puglia, vedeva Taranto andare oltre la metà della media regionale. 11.208 posizioni aperte, pari al 58,6%. I numeri, ancora una volta, sono destinati a crescere vertiginosamente.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento