Niente amarcord sotto il tendone
Intervista Parla il patron e fondatore di Cirko Vertigo, la scuola che ha sede nella cintura torinese, a Grugliasco. «Qui cambiano i destini delle persone, di centinaia di allievi che provengono da tutto il mondo»
Intervista Parla il patron e fondatore di Cirko Vertigo, la scuola che ha sede nella cintura torinese, a Grugliasco. «Qui cambiano i destini delle persone, di centinaia di allievi che provengono da tutto il mondo»
Spesso ciò che comporta una svolta positiva arriva da dove meno ce lo si aspetta. Forse perché, banalmente, nel nostro paese si punta sempre su tutto, tranne che su quello di cui varrebbe davvero la pena. La cultura. Per dirne una. Con picchi e cadute possiamo dirci piuttosto portati per la questione eppure, senza pietà, non c’è governo che non ne abbia tagliato più o meno subdolamente le funzioni vitali. Fortunatamente, serve a poco tutto questo dissanguamento forzato. In particolare, qui facciamo riferimento a una forma culturale antica e dalle sfaccettature decadenti: il circo. E andiamo a scoprire che decadente non è. Non almeno il circo contemporaneo, che ha una matrice comune con quello tradizionale così come comuni sono le tecniche che utilizzano. Completamente diversi però sono il modo con cui vengono utilizzate e comunicate.
La notizia interessante riguarda il primo: è nata la Fondazione Cirko Vertigo. Un traguardo importantissimo per una realtà storica sia sul panorama piemontese – la sua sede è a Grugliasco, nella prima cintura di Torino – sia su quello nazionale. Si tratta, infatti, del primo percorso triennale di formazione professionale per giovani artisti circensi in Italia, riconosciuto dal Ministero per i beni e le attività culturali con il contributo finanziario del Fondo Sociale europeo.
Mentre in Francia esistono oltre conquecento luoghi di circo, in Italia la Scuola di Circo Vertigo è l’unica importante realtà accreditata a livello internazionale per la polivalenza delle sue attività e rappresenta il nostro paese nel Consiglio di amministrazione di Fedec-Federazione Europea delle Scuole di Circo. Il passaggio da associazione a fondazione avviene dopo quattordici anni dalla nascita del progetto ed è un passaggio verso l’«età adulta» non da poco.
A parlarcene è Paolo Stratta patron e fondatore del Vertigo. «Stiamo diventando grandi. Come quando i pantaloni diventano troppo corti e le scarpe troppo strette e alla fine le devi cambiare per forza – spiega – Sei cresciuto, non c’è più posto per il rimanere bambini. Questo è ciò che rappresenta il nostro passaggio a fondazione. La struttura di una fondazione ci permette di continuare a muoverci sul piano del no profit, che è il nostro fulcro, ma allo stesso tempo consegna una relativa tranquillità agli aspetti commerciali e alla loro gestione. Diventiamo automaticamente un soggetto più credibile e solido che ha la possibilità, al suo interno, di amministrare al meglio molte cose, contratti compresi. È un’occasione, quindi, per guardare al futuro. E anche un bagaglio di responsabilità. Questo è un progetto che cambia i destini alle persone. E mi riferisco a tutti i giovani che sono capitati qui e, dopo il percorso fatto da noi, hanno trovato lavoro. Perché circo contemporaneo vuol dire anche opera, danza, teatro cinema… Con noi, in Italia è nata la figura professionale dell’artista di circo contemporaneo».
A imparare l’antica arte della disciplina circense sono giovani che arrivano da tutto il mondo, non solo dall’Italia e dall’Europa. «Solo per fare un esempio, un nostro allievo palestinese, per altro un po’ fuori età e che quindi non sarebbe riuscito a entrare da nessun’altra parte, è stato selezionato da Alain Platel e si trova in perenne tournée da anni».
Stratta, nel tempo, è diventato un tuttologo del genere: «Ho ricoperto tutti i ruoli possibili all’interno del Vertigo, dall’insegnamento, alla gestione dell’Enpals, alla regia e le pubbliche relazioni». Ma prima ancora, 25 anni fa, ha iniziato come fachiro, mangiafuoco, trampoliere «e di tutto quel percorso è rimasta un’enorme magia, la scintilla che a tutt’oggi mi fornisce la benzina per continuare». E ampliare, costantemente, un progetto ben sostenuto anche dalle istituzioni, primo fra tutti il Ministero per i beni e le attività culturali che, sulla scia della riforma Franceschini, ha dato «rotondità» alla macchina circense. Oltre all’appoggio di fondazioni bancarie e, a breve, anche di altre realtà private.
Il Cirko Vertigo in numeri si può definire così: cinquanta allievi in formazione professionale biennale che provengono da oltre venti paesi del mondo; settecento studenti di corsi ludici nelle varie arti circensi; sessanta membri dello staff; centocinquanta artisti scritturati; ventimila spettatori degli spettacoli in sede; oltre centomila spettatori out door.
Siamo molto lontani da quell’immagine polverosa cui ci riferivamo all’inizio, sarà forse per quella K di Kinéma, movimento per l’appunto. «Il circo all’italiana, purtroppo, vive una deriva inarrestabile. E lo dimostra il fatto che gli eredi giovani delle storiche famiglie circensi vengono da noi a imparare».
Tutto è iniziato con Fellini «che, a un certo punto, ha inquadrato questo amarcord, l’ha fotografato e ne ha fatto il funerale. Il circo ha cavalcato questa onda invece di reagire con la stessa forza che l’aveva portato a nascere. Un tempo lo contraddistingueva una natura coraggiosa! Il circo ha sempre accolto – e il verbo accogliere non è casuale, ma fondamentale – tutte le diversità e tutte le innovazioni tecnologiche. Le prime proiezioni cinematografiche sono state fatte sotto i tendoni della famiglia Zamperla. Al circo hanno sempre trovato rifugio personaggi considerati relegati nella ’diversità’. E anche i partigiani in tempo di guerra. Intorno alla figura di Moira Orfei si era poi radunato un crogiuolo di drag queen: quell’universo trans gender sta un po’ anche a dire che, nella sua durezza, il circo ha sempre accettato e protetto prima di tutto e di tutti l’omosessualità. Questo carattere iniziale di forza e innovazione, di essere intrepidi, di non aver paura di niente via via è andato perdendosi. Qualcuno deve aver pensato: ’Se Fellini ci ha fotografati così, noi allora usiamo questa immagine’. E si è iniziato, in modo drammatico, a replicare un cliché». Il circo contemporaneo è invece il risultato di contaminazioni e ricerche di generi:laddove smarrisse questa caratteristica fondante «perderebbe ogni fascino e valore aggiunto».
Paolo Stratta ha tre obiettivi precisi per il post fondazione: «Mi auguro di riuscire a spiegare sempre meglio al circuito dello spettacolo dal vivo in Italia e, in primis, ai teatri stabili l’importanza di accogliere un’esperienza come questa. In secondo luogo, credo sia molto utile l’approccio circense come mezzo di trasformazione sociale, anche per i portatori di handicap. Per riuscirci nella maniera migliore, proprio all’interno della fondazione, sarà dato ampio spazio di ricerca. E, in terzo luogo, intendo perfezionare la formazione ludica. Pur rimanendo un gioco alternativo all’oratorio o al pallone per i ragazzi, il circo merita di essere codificato correttamente».
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