Cultura

Nicola Sansone, pescando nella «cassaforte» dei negativi e della camera oscura

Nicola Sansone, pescando nella «cassaforte» dei negativi e della camera oscuraNicola Sansone, Napoli, 1956 courtesy Archivio Sansone

Mostre Un'antologica a Brescia dedicata al fotografo, a partire dall'«archivio ritrovato», a cura di Renato Corsini

Pubblicato più di un anno faEdizione del 7 giugno 2023

La Leica è nella teca, in una sala del Mo. Ca. – Centro delle nuove culture a Brescia in occasione della mostra Nicola Sansone. L’archivio ritrovato (visitabile fino al 16 luglio), curata da Renato Corsini e organizzata nell’ambito della VI edizione del Brescia Photo Festival (promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana) tra vecchi biglietti d’aereo, l’accredito stampa alla XXIII Mostra internazionale del cinema di Venezia, la ricevuta per il «reportage Playboy Key Club e rivista Chicago e New Orleans venduto il 12/9/63» al prezzo di 60mila lire + Ige (imposta generale sull’entrata) di 1.980 lire con tanto di marche da bollo.

CI SONO ANCHE RITAGLI di giornale e appunti dattiloscritti insieme alla lettera scritta in italiano e datata 16 luglio 1964, firmata da Karl Pawek (ideatore della Weltausstellung der Photographie, la mostra itinerante Esposizione mondiale della fotografia ispirata a The Family of Man di Edward Steichen) che attesta la presenza di Nicola Sansone (1921-Roma 1984) in questa collettiva di 264 fotografi internazionali con i loro scatti sul tema «Che cos’è l’uomo?».

Nicola Sansone, Sicilia, 1959 (courtesy Archivio Sansone)

ALTRE LETTERE sono su carta intestata della Realphoto, l’agenzia fotografica che Nicola fondò nel 1957 insieme al fratello minore Antonio con Caio Mario Garrubba, Franco Pinna e Calogero Cascio che, come lui, credevano nel fotogiornalismo militante all’insegna dell’impegno civile. «Il mobilaccio rosso» che ricorda Lea Sansone, figlia del fotografo, custodiva tutto ciò, insieme a migliaia e migliaia tra negativi, diapositive, provini e stampe in bianco e nero.

Foto Manuela De Leonardis

UN «TESORO NASCOSTO» che, alla morte improvvisa del padre, con l’impellenza di dover lasciare insieme al fratello Matteo la casa in via di Ripetta, finì per decenni chiuso negli scatoloni tra un trasloco e l’altro da Roma a Rieti. Nel 2020 è stato finalmente riscoperto da Renato Corsini, fotografo e conservatore di diversi archivi fotografici. «L’archivio è la cassaforte dei sentimenti di un fotografo», afferma Corsini che in occasione di questa prima antologica (accompagnata dalla pubblicazione Nicola Sansone la fotografia come libertà) ha selezionato centoventi immagini tra quelle scattate da Nicola Sansone nel decennio ’50-’60, stampando i negativi in camera oscura con la tecnica tradizionale della gelatina ai sali d’argento su carta baritata per conferire alle stampe «quella patina di coerenza con l’epoca in cui sono state scattate».

NON SFUGGE LO SGUARDO ironico di Sansone, la sua attenzione ai dettagli, l’equilibrio compositivo, ma soprattutto quella sua intuizione nell’interpretare il presente in una prospettiva proiettata verso la storia. Dall’Italia del boom economico con le Vespe, i poster cinematografici, i primi elettrodomestici ci spostiamo nel Sud dove un venditore di soldi finti gira per i vicoli, mentre in un’altra foto un cartello dipinto a mano pubblicizza «segreti magici per essere felici». Quando l’asino fa capolino dal portone, proprio sotto i manifesti elettorali della Democrazia cristiana sembra di cogliere lo sguardo sornione dell’autore. I negativi non recano indicazione di luogo e data, ma attraverso gli articoli apparsi su varie testate, tra cui Il Mondo di Pannunzio su cui Sansone pubblicò diversi reportage come L’America in Autobus, è stato possibile identificare luoghi e datazioni.

DALLA TURCHIA AL CONGO, dagli Stati Uniti alla Thailandia, dalla Germania al Giappone: nello sguardo di Nicola Sansone c’è sempre una capacità analitica che s’intreccia con la curiosità rispettosa per l’essere umano, come quando «sulla via di Damasco», un decennio dopo la fine del mandato francese in Siria, entra nella «casa chiusa» dove sulle pareti imbiancate a calce c’è traccia dell’eredità occidentale nelle scritte con i nomi evocativi dei padiglioni – Le Luxuriant, Moulin Rouge, Chez Rosette, Le Tabrin – e nell’attesa del cliente («militaires et marins avant de sortir recevez les soins à la cabine prophilactique») le donne lavano e stendono i panni, c’è chi fuma una sigaretta e chi regala un sorriso.

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