Domenica 30 luglio, come tutti gli anni, sono in Alto Adige e leggo, di malavoglia, i giornali che sono quasi tutti lo specchio di una vita politica misera con una sinistra disossata, con protagonisti senza storia e senza ideali con cui cimentarsi per fare progredire.

Per cambiare quel che c’è da cambiare della società in cui viviamo, in un quadro internazionale sempre più degradato e carico di incertezze. Mentre leggo ricevo una telefonata di Tommaso Di Francesco che mi comunica la scomparsa del compagno Nicola Cipolla, nella città in cui era nato e dove ha vissuto novantasei anni.

La notizia sul momento mi ha colpito. Ma sapevo che i pochi della mia generazione, che hanno militato e combattuto, come me, nel sindacato e nel Pci, siamo ormai in lista d’attesa. E Nicola ha combattuto con le sue idee e le sue posizioni politiche, in cui dirò, sino all’ultimo giorno della sua vita.

Ho conosciuto Nicola Cipolla a Caltanissetta, la mia città, dove faceva il militare negli anni del fascismo. Io militavo nel Partito comunista e lui in un piccolo gruppo liberal-socialista. Non parlai mai con lui, ma il mio capocellula Calogero Boccadutri che manteneva i rapporti anche con quel gruppo, un giorno me lo indicò dicendomi che quel giovane militare alto e biondo incaricato di redigere un volantino per l’antifascismo, aveva scritto un manifesto con una netta tendenza liberal-socialista.

L’operaio Boccadutri era molto incazzato. Dopo la liberazione, Nicola, a Palermo aderì al partito socialista con un gruppo di giovani intellettuali, guidati da Mario Mineo, che stampavano la Voce socialista, anima della sinistra di quel partito.

Nicola con Mineo, Napoleone Colajanni, Nando Russo, Matteo Tocco e altri, quando Saragat fece la scissione per dare vita al partito socialdemocratico (gennaio 1947) aderirono al Pci. In Sicilia segretario regionale era Girolamo Li Causi che accolse con entusiasmo quel gruppo di giovani.

Nicola era già impegnato nel movimento contadino, nella Federterra, poi Confederterra, di cui sarà per molti anni dirigente e combattente. Sono gli anni in cui il movimento contadino, impegnato nella lotta contro il feudo e i gabellotti mafiosi, con l’occupazione delle terre incolte e mal coltivate in applicazione dei decreti del ministro dell’agricoltura , il comunista Fausto Gullo.

Lo scontro con gli agrari e la mafia fu duro è testimoniato dall’uccisione di 36 dirigenti sindacali, capi lega e segretari di Camere del Lavoro e la strage di Portella delle Ginestre, il primo maggio del 1947, all’indomani della prima elezione dell’Assemblea Regionale siciliana (20 aprile 1947) segnata dal successo del Blocco del popolo.

Il separatismo fu sconfitto e anche la Dc venne ridimensionata. Io dirigevo la Camera del Lavoro di Caltanissetta ma, proprio all’indomani della strage , nel primo congresso della Cgl siciliana, venni eletto segretario regionale e mi trasferii a Palermo.

Negli anni che verranno con Nicola ebbi un rapporto di lavoro e anche politico. Nel 1951 fummo entrambi eletti deputati all’Assemblea regionale e le lotte sociali in cui eravamo impegnati caratterizzarono anche il nostro impegno parlamentare. Erano gli anni in cui l’autonomia siciliana era ancora una speranza e anche una concreta realtà nella lotta per le riforme e la rinascita della Sicilia.

Nel 1950 l’Assemblea Regionale approvò la legge di riforma agraria che era molto più avanzata di quella nazionale. Frutto anche delle nostre lotte. Nel 1949 Pio La Torre, impegnato, con me e altri compagni, nell’occupazione delle terre nel Corleonese, fu arrestato grazie ad una falsa testimonianza di un commissario di pubblica sicurezza e scontò 18 mesi di carcere, io, a piede libero, fui condannato con lui a 16 mesi.

Nicola tra impegno sindacale e di partito fu sempre tra i protagonisti di quelle lotte. E lo fu anche quando fu eletto al Senato. E in quella sede la sua battaglia continuò patrocinando leggi volte a superare la mezzadria e tutti i contratti che sancivano un lavoro subordinato dei braccianti e dei contadini.

Negli anni della solidarietà nazionale (1976-79) fu nominato presidente dell’Ente di Sviluppo Agricolo del Lazio. Con Nicola la mia collaborazione fu intensa anche negli anni in cui diressi nel Pci, dopo il 1956.

La polemica politica con Cipolla si manifesta negli anni Ottanta quando in maniera più netta assume posizioni che richiamavano quelli della sinistra ingraiana. E si manifestò con la sua contrarietà al ritorno di Pio La Torre alla direzione del Comitato Regionale.

Pio: era considerato di «destra» (anche il manifesto scrisse in questa chiave), anche perché il riferimento politico di La Torre era stato sempre Paolo Bufalini. Debbo dire che nel lavoro e nell’impegno di La Torre, soprattutto nel grande movimento della pace contro l’istallazione dei missili a Comiso, Nicola partecipò con grande slancio e solidarietà con Pio.

Il dissenso si manifestò con nettezza quando dopo qualche anno della svolta della Bolognina, Nicola aderì a Rifondazione Comunista. Tuttavia i rapporti personali, non solo con me ma con tanti militanti e dirigenti del Pds, furono mantenuti senza guerriglie. Nicola ha sempre diretto il Cepes (centro di politica economica), ha scritto tanto, anche sul manifesto, ha pubblicato libri e memorie che ricordano una storia di cui è stato con altri protagonista.

All’inizio di questo ricordo ho fatto apprezzamenti pesanti sulla politica di oggi e il personale che la esprime, perché nel momento in cui Di Francesco mi dava la notizia della scomparsa di Nicola Cipolla, come in un film, ho ricordato cosa è stato il suo impegno per più di settant’anni.

E per me, e non solo per me, la politica è questa. Anche se espressa con idee e posizioni diverse dalle mie. Così recentemente ho ricordato Valentino Parlato, Alfredo Reichlin e oggi, Nicola Cipolla.